9 mag 20227 min

Equality Pay: la disparità di trattamento economico dello sport.

Aggiornato il: 21 mag 2022

Nella vita di ogni giorno le disparità di genere sono sotto gli occhi di tutti, nelle frasi dette e in quelle non dette, nelle allusioni, nei sorrisi maligni di chi non perde occasione per soffermare l’attenzione sulle differenze legate al genere di una persona.

Ogni donna si è sentita, almeno una volta nella vita, ferita da frasi dette apertamente o meno in cui si rimarcava una sua sorta di inferiorità, di mediocrità, di inadeguatezza, a un tavolo di lavoro o a un incontro. Nell’immaginario collettivo il dottore è un uomo e la donna, per quanto possa essere brava e risoluta, appare sovente come la segretaria del dottore, e solo in seconda battuta un dottore lei stessa.

Se non è capitato a tutte, a me è capitato: essere l’unica donna a tavoli di lavoro, essere considerata la segretaria di chi ha titoli accademici inferiori ai miei, essere apostrofata per il bel faccino o derisa alle spalle per avere ottenuto meriti non si sa come. In queste situazioni la donna diventa, per necessità, per virtù o per sopravvivenza, più dura di un uomo e, inevitabilmente, si passa a un livello successivo di denigrazione: “è una stronza, ha un caratteraccio orribile, è troppo dura”.

Partendo dalla considerazione che non esiste un caratteraccio, ma esiste un carattere, come dico sempre, spesso soffermando io stessa l’attenzione sulla insipienza di chi ho di fronte, la sottile linea di demarcazione dall’essere risoluta e sicura all’esser stronza, per una donna è più sottile di un filo di seta.

Un tempo, quando ero più giovane e le rughe in volto erano minori rispetto ad oggi, mi si soleva dire: “sorridi, perché quando sorridi sei più bella”, mentre magari ero a un tavolo di concertazione sindacale o stavo parlando di diritto sportivo. Io non ho mai sentito dire a un uomo: “sorridi, che quando sorridi sei più bello“; il giorno in cui questo accadrà io mi alzerò in piedi applaudendo l’eroe del momento.

Ci sono delle innegabili differenze legate al genere, e chi dice che siamo uguali sta ignorando differenze tangibili: noi donne abbiamo una forza fisica inferiore a quella maschile, è innegabile. Esulando dall’aspetto meramente fisico, cosa succede invece sul piano intellettivo e intellettuale?

Al di là della semplice e banale battuta: “io sono più debole fisicamente di un uomo ma un uomo è più debole di me intellettualmente”, densa di ovvia ironia, sul piano intellettuale sono, anzi siamo, al pari di un uomo, o inferiori ad esso?

La riflessione è importante in termini di parità anche di trattamento economico, che è il fulcro di questo intervento: le donne vengono pagate meno degli uomini e la disparità di trattamento è oggetto di studi anche a livello comunitario.

La Comunità Economica Europea è quella realtà bellissima in cui tutti dovremmo sentirci coinvolti e partecipi ma poi, se cerchi materiale per stilare una relazione o un intervento, te lo propongono in lingua inglese, dimenticando il resto dell’unione, a dimostrazione che se è vero che si propone di aggregare tutti gli Stati, è pur vero che, nel frattempo fa sentire inferiori i popoli non anglofoni.

Cosa accade da un punto di vista meramente legato alle retribuzioni, fra uomini e donne? Categorizzazione generica tra l’altro, perché poi a ben guardare esistono uomini e uomini, donne e donne, e non si dica che per come è messo il nostro paese adesso un uomo bianco equivale a un uomo nero, asiatico, ispanico o, ancor peggio, una donna bianca è trattata allo stesso modo di una donna nera, asiatica o ispanica.

Soffermando l’attenzione sulla differenziazione generica, senza entrare nel merito delle razze e delle conseguenti disparità, fra uomo e donna sul piano economico il trattamento è lo stesso? La risposta è no e a dirlo non sono io, che sono una donna bianca di mezza età che borbotta da sempre sulle differenze di genere, ma la Commissione Europea stessa, e uno studio dell’anno scorso del Carousel Group della Gender Division, che ha analizzato dieci diverse discipline sportive a livello mondiale.

Da questi studi, ovviamente in lingua inglese (perché il tema delle disparità non si ferma solo al genere e il nostro paese sta sprofondando sempre più verso l’annullamento della propria identità linguistica a vantaggio di anglismi di ogni tipo), emerge che queste differenze sono declinate sotto diversi punti di vista: in termini di popolarità, retribuzione e partecipazione degli atleti di sesso maschile e femminile.

Nella classifica degli sportivi più pagati nel mondo, e qui arriviamo allo sport, la prima donna si colloca al 63 posto ed è Serena Williams, tennista di fama mondiale, con un salario di circa 16 milioni.

In Italia la situazione è sempre stata più catastrofica, con addirittura la negazione della possibilità di essere considerate “professioniste“, fino a pochissimi mesi fa, e solo con la Federazione Italiana Giuoco Calcio, fino a pochissimi giorni fa.

Secondo la legge sul professionismo sportivo ogni federazione può creare al proprio interno delle sezioni di professionismo e, attualmente, ce ne sono solo 4 su 44: calcio, basket, ciclismo e golf , prive tutte della sezione femminile fino al 22 aprile 2022 o, perlomeno, prive dell’iter per il riconoscimento della possibilità per una donna di vivere di sport come un lavoratore uomo, maschio.

La situazione in realtà non è certa rosea neppure per i maschietti perché, al di là delle 4 citate, le altre non riconoscono il professionismo cosi come non lo riconoscono le Discipline associate né gli enti di promozione sportiva, creando e ingenerando storture di un sistema che si regge sulle proprie gambe grazie a impalcature traballanti e fragili. Ho sentito da tutti decantare in maniera entusiasta la riforma dello sport in corso, come panacea di tutti i mali dello sport, inneggiando alla possibilità di assumere come lavoratori dipendenti o inquadrare come autonomi gli sportivi come una grande conquista, cosa che in realtà non è perché nessuno mi impedisce di farlo già da ora.

Le differenze retributive per le donne nello sport?

In generale, fatta eccezione per le 4 federazioni, le differenze retributive, a ben guardare, ci sono anche per gli uomini in realtà rispetto ai vantaggi dell’applicazione di contratti collettivi di riferimento, ma evitando di difendere gli uomini per una volta, entriamo nel merito delle disparità di trattamento economico delle atlete e delle donne in generale in ambito sportivo, uscendo dal mero professionismo. Non esistono solo i grandi sport nel nostro paese e non esistono solo le federazioni: il mondo sportivo è costellato da una serie infinita di organismi che, a vario titolo, si muovono in questo mondo. Piaccia o non piaccia, e ho assistito al riguardo a discussioni di ogni tipo, esiste l’intero mondo dello sport di base e promozionale che non può essere certo ricondotto al mondo delle federazioni. Quando sento parlare sempre e solo delle atlete professioniste, pur essendo felice per loro e per i successi che stanno ottenendo, mi domando: “e lo sport di base? “.

Devo ammettere che le donne, nello sport di base, stanno messe male esattamente come gli uomini, a dimostrazione che ogni tanto la parità, seppure nel male, esiste. Le atlete professioniste, ora nel calcio, potranno ambire a ottenere retribuzioni identiche a quelle di un uomo, ma nel mondo dello sport di base i problemi sono ancora peggiori.

Quali sono i diritti di chi è assunto come dipendente?

Malattia, maternità, infortuni, ferie, permessi, Tfr, retribuzioni differite, tabelle retributive corrette e non improvvisate che già comunque potrebbero, in linea teorica, essere applicate tutt’oggi, se non ci fossero i problemi di tenuta del sistema che in realtà esistono.

Dagli studi europei risulta che il divario retributivo di genere nell'UE si attesta al 14,1% ed è cambiato solo in minima parte nell'ultimo decennio. Significa che le donne guadagnano in media il 14,1% in meno all'ora rispetto agli uomini.

Il divario retributivo complessivo di genere, che misura l'impatto combinato della retribuzione oraria media, della media mensile del numero di ore retribuite (prima di ogni adeguamento per il lavoro part-time) e del tasso di occupazione, si è attestato nel 2018 al 36,7%.

Il divario retributivo di genere misura un concetto più ampio della discriminazione retributiva e comprende un gran numero di disuguaglianze che le donne devono affrontare nell'accesso al lavoro, alla progressione e ai premi. Sono:

Segregazione settoriale: circa il 24% del divario retributivo di genere è correlato alla sovra rappresentanza delle donne in settori a retribuzione relativamente bassa, come l'assistenza, la salute e l'istruzione. I lavori altamente femminilizzati tendono ad essere sistematicamente sottovalutati.

Quota ineguale di lavoro retribuito e non retribuito: le donne hanno più ore di lavoro a settimana rispetto agli uomini ma trascorrono più ore in lavoro non retribuito, un fatto che potrebbe anche influenzare le loro scelte professionali. Questo è il motivo per cui l'UE promuove un'equa condivisione dei congedi parentali, un'adeguata fornitura pubblica di servizi per l'infanzia e adeguate politiche aziendali in materia di organizzazione dell'orario di lavoro flessibile.

Il soffitto di vetro: la posizione nella gerarchia influenza il livello di retribuzione: meno dell'8% degli amministratori delegati delle principali aziende sono donne. Tuttavia, la professione con le maggiori differenze di retribuzione oraria nell'UE erano i dirigenti: 23 % di retribuzione inferiore per le donne rispetto agli uomini.

Discriminazione retributiva: in alcuni casi, le donne guadagnano meno degli uomini per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, anche se il principio della parità di retribuzione è sancito dai Trattati europei (articolo 157 TFUE) dal 1957.

La maggior parte del divario retributivo di genere rimane inspiegabile nell'UE e non può essere collegata a caratteristiche del lavoratore o del luogo di lavoro come l'istruzione, l'occupazione, l'orario di lavoro o l'attività economica per cui la persona lavora. Una maggiore trasparenza nella retribuzione aiuterebbe a scoprire differenze di retribuzione ingiustificate basate sul genere per un lavoro uguale o un lavoro di pari valore e aiuterebbe le vittime di discriminazione salariale a chiedere riparazione e far rispettare il loro diritto alla parità di retribuzione.

A livello europeo, con comparazione fra i vari stati, il divario retributivo di genere varia da meno del 5% in Lussemburgo, Italia e Romania a oltre il 19% in Austria, Germania, Lettonia ed Estonia.

Tuttavia, un divario retributivo di genere inferiore in alcuni paesi non significa necessariamente che il mercato del lavoro in quel paese sia più equo di genere. Un divario retributivo di genere inferiore può verificarsi nei paesi con un tasso di occupazione femminile più basso in cui la maggior parte delle donne con un potenziale di guadagno più elevato (ad es. con un livello di istruzione migliore) entrano nel mercato del lavoro.
 

 
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