
A cura di Emanuela Mirella De Leo - Avvocato in Lecce I videogiochi rendono davvero aggressivi? La domanda è di grande attualità soprattutto in questi giorni dopo che il CIO ha ufficializzato le prime Olimpiadi di Esport previste nel 2025, segnando una pietra miliare per il mondo dei videogiochi competitivi. Questo riconoscimento ufficiale da parte dell'istituzione sportiva più prestigiosa al mondo è un passo fondamentale non solo per il settore esportivo, ma anche per sdoganare definitivamente i preconcetti negativi che circondano i videogiochi.
Le ultime ricerche
L'idea che i videogiochi, specialmente quelli violenti, possano portare a comportamenti aggressivi è stata più volte smentita da studi recenti. Uno dei più significativi è quello condotto dal professor Aaron Drummond della Massey University della Nuova Zelanda reso noto nel 2020, che ha analizzato dati cospicui, concludendo che l’impatto dei videogiochi sugli atteggiamenti aggressivi è minimo e non significativo. In particolare, i dati mostrano una correlazione statistica prossima allo 0% dei casi valutati, sottolineando l'assenza di un legame significativo tra i due fattori. Questi risultati sono in linea anche con una relazione dell'APA (American Psychological Association) del marzo 2020 che ha sottolineato la mancanza di evidenze scientifiche riguardo all'effetto dei videogiochi violenti sull'aggressività. Sempre nel 2020 una ricerca condotta da studiosi italiani, pubblicata sul sito State of Mind, ha supportato questa mancanza di correlazione tra comportamenti aggressivi e “videogiochi violenti”.
La ricerca neozelandese ha effettuato un confronto tra 28 studi già condotti su circa 21.000 giovani, al fine di valutare la presunta correlazione tra l'uso dei videogiochi e l'aggressività. Sono stati presi in considerazione diversi approcci metodologici per garantire la completezza e la solidità dell'analisi condotta. La selezione degli studi da includere nella ricerca è stata basata su criteri rigorosi, mirati a garantire la rappresentatività e la qualità delle fonti considerate. Sono stati inclusi solo studi affidabili, condotti su campioni significativi di giovani e approvati da riviste scientifiche peer-reviewed.
Sono state utilizzate tecniche di valutazione quantitative e qualitative per esaminare in modo approfondito le relazioni tra l'uso dei videogiochi e l'aggressività, garantendo un'analisi accurata e completa dei dati raccolti.
I risultati principali evidenziano la mancanza di una correlazione significativa tra i due fattori esaminati, contraddicendo l'opinione diffusa che i videogiochi causino comportamenti aggressivi nei giovani.
Nello stesso studio si legge che gli studi esaminati sostengono una correlazione statisticamente non significativa (vicina allo 0% nei casi valutati) tra l'uso di videogiochi e l'aggressività. Questi risultati puntano a confutare le teorie comuni che collegano direttamente i videogiochi violenti all'aggressività giovanile, sottolineando la mancanza di sostegno scientifico per questa associazione e smentendo la percezione comune che l'esposizione ai videogiochi violenti porti automaticamente a comportamenti aggressivi.
I primi studi e l’evoluzione delle teorie
A questi risultati di oggi si è giunti dopo un intenso e controverso percorso di ricerca scientifica profilatosi negli anni '70, quando nacquero i videogiochi e con essi l’interesse scientifico sul loro possibile impatto violento sui giocatori. La “Teoria dell'Apprendimento Sociale”, che suggerisce che osservando comportamenti violenti si tende a imitarli, ha alimentato queste preoccupazioni e studiosi come Craig Anderson che, nei primi anni 2000 rifacendosi proprio a questa teoria e partendo da studi di correlazione tra aggressività e mass-media, ha sostenuto che i videogiochi violenti, più della televisione, possono influenzare negativamente il comportamento.
Anderson ritiene che i videogiochi violenti aumentino l'aggressività nei giocatori in tre modi: imitando le azioni viste, generando pensieri violenti e creando "script" mentali che facilitano comportamenti aggressivi nella vita reale. L'immersione e il coinvolgimento nel gioco, secondo Anderson, amplificano questi effetti rispetto ad altri media come la televisione. Secondo Anderson, i videogiochi violenti insegnano l'aggressività. Il giocatore, identificandosi con il personaggio, impara a risolvere i problemi attraverso la violenza, inoltre, le ricompense ottenute per azioni violente rinforzano questo apprendimento.
Sulla stessa linea di Anderson si sono espressi altri importanti studiosi come Leonard Berkowitz e Brad Bushman, secondo cui i videogiochi violenti influenzano il comportamento umano attraverso meccanismi di imitazione, attivazione fisiologica, pensieri, atteggiamenti e desensibilizzazione dei giocatori. L'impatto dei videogiochi violenti è amplificato dall'alto livello di immersione e interattività che caratterizza questi mezzi. A differenza della televisione, nei videogiochi il giocatore è un attore attivo che controlla le azioni del personaggio e ne sperimenta le conseguenze in prima persona. Questa esperienza rafforza l'apprendimento di comportamenti violenti e ne facilita la generalizzazione a contesti reali.
Le teorie di Anderson e degli altri studiosi hanno tuttavia cominciato a trovare degli oppositori già a partire dalla seconda decade degli anni 2000 con ricerche che offrono una visione meno critica del fenomeno. Christofer Ferguson è uno dei principali studiosi scettici sulle prime ricerche poiché queste, a suo avviso, presentavano errori metodologici e una selezione parziale dei dati. Le sue analisi hanno mostrato che non esiste una correlazione rilevante tra videogiochi violenti e aumento dell'aggressività reale e che i videogiochi possono migliorare alcune abilità cognitive, come quelle visuo-spaziali. Altre ricerche (Greitemeyer) hanno confermato questi risultati, sfatando anche il mito che i videogiochi violenti desensibilizzino all'empatia.
Un altro interessane studio tedesco del 2017 ha poi analizzato gli effetti a lungo termine dei videogiochi violenti sull'empatia e l'aggressività. A differenza di ricerche precedenti, che si concentravano sugli effetti immediati, questo studio ha seguito per anni un gruppo di giocatori abituali di sparatutto, confrontandoli con un gruppo di non giocatori. I risultati sono stati sorprendenti perché non sono state trovate differenze indicative tra i due gruppi, né nei test psicologici né nelle scansioni cerebrali. Questo suggerisce, seppur con la riserva di ulteriori approfondimenti sul tema, che giocare regolarmente a videogiochi violenti per molti anni non rende le persone più aggressive o meno empatiche.
Sintesi
Dopo questo breve exursus storico e che ha condotto alle ultime teorie ci si chiede come mai dunque ancora oggi permangano delle forti resistenze e preconcetti nell’uso dei videogiochi. E questo induce a pensare che probabilmente un forte impatto emotivo sia dovuto al ruolo dei media e dell'opinione pubblica nel perpetuare l'idea di una correlazione tra l'uso dei videogiochi e l'aggressività.
La ricerca neozelandese mette in luce la disconnessione tra le conclusioni scientifiche e la percezione pubblica, evidenziando la necessità di diffondere in modo accurato e responsabile le evidenze emerse. Il ruolo dei media nell'influenzare l'opinione pubblica su temi complessi come questo richiede un'attenta valutazione delle evidenze e un'esposizione accurata delle conclusioni scientifiche e suggerisce, come argomento delle future ricerche, l’esplorazione delle potenziali influenze dei media e dell'opinione pubblica sul dibattito in corso, fornendo così un contributo significativo nel contesto della psicologia e della sociologia dei media, distinguendo, ove possibile, i messaggi veicolati dai media “tradizionali” e quelli utilizzati dalle giovani generazioni, in primis i social.
Conclusioni
Alla luce dei risultati emersi dalla revisione critica degli studi esistenti, il riconoscimento del CIO, in combinazione con queste nuove ricerche, può avere un ruolo decisivo nel trasformare la percezione pubblica dei videogiochi. Portare gli esport all’interno di un evento opportunamente regolamentato e “garantito” come le Olimpiadi non è solo un’innovazione sportiva, ma un messaggio potente: i videogiochi possono essere considerati una forma di competizione legittima, con tanto di regole, allenamento e valori sportivi, proprio come qualsiasi altro sport tradizionale.
La legittimazione olimpica diventa quindi un motore per un cambiamento culturale, aiutando a superare pregiudizi ormai obsoleti e a riconoscere i videogiochi per ciò che realmente sono: un mezzo d’intrattenimento positivo, che promuove competenze, cooperazione e, ora, anche spirito olimpico.
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