di Giuseppe Raffa, pedagogista, formatore, coordinatore ambulatorio antibullismi Asp Rg
Introduzione
Alcuni, in America, li chiama IGen, per altri sono i nativi digitali, per tutti sono i ragazzi di oggi. Di sicuro una nuova “specie umana”. Quella che i nuovi genitori non conoscono, ci capiscono poco, il più delle volte quasi niente.
Perché? Semplice, perché sono assai diversi dai giovani di un tempo. E dunque lontani anni luce dagli adulti di oggi. Si tratta dell’ultimo anello di una lunga catena di trasformazione giovanile che ha preso il via negli anni Ottanta e che oggi, alla luce della rivoluzione tecnologica, ha prodotto giovani uomini dai comportamenti difficilmente inquadrabili con i canoni piscologici e pedagogici del secolo scorso, quelli che ci sono stati utili per conoscere ed educare gli adolescenti del passato.
Che fare? Come educarli? Il contributo in oggetto punta ad analizzare le diversità dei ragazzi, a conoscerli bene, e fornire ai genitori e agli adulti competenti alcune importanti “dritte” pedagogiche, psicologiche e tecnologiche per conoscere ed educare i ragazzi degli anni Duemila.
Lunga adolescenza e precoce utilizzo delle tecnologie digitali
L’adolescenza è oggi un lungo tunnel nel quale si entra prima e si esce dopo, almeno rispetto ad una volta. La pubertà dei nativi digitali fa il suo esordio intorno ai 10 anni, e tende a scomparire non prima dei 24 anni. Si diventa biologicamente grandi in anticipo, ma la condizione dell’adolescenza si protrae più a lungo, cinque anni in più rispetto a prima. Un paradosso. Uno di quelli che si possono leggere nell’ultimo libro dello psicanalista Massimo Ammaniti, dal titolo, appunto, “I paradossi degli adolescenti” (Raffaello Cortina, editore).
Ragazzi diversi, “nuovi”, “nativi digitali”, come li ha definiti Prensky nel 2002. Ai quali i genitori consegnano tablet e telefonini molto presto, anzi prestissimo, spesso prima dei due, senza rendersi conto delle gravi conseguenze sulla motricità fine, nell’abilità del pensiero spaziale, relativamente lo sviluppo linguistico.
Non solo. L’uso precoce ed intensivo delle tecnologie influisce negativamente anche sulle attività di concentrazione di attenzione selettiva. A proposito di quest’ultima: i nuovi adolescenti riescono a bloccare l’attenzione su un preciso obbiettivo per non più di 8 secondi. Un pesciolino rosso impiega un secondo in più, 9 secondi. Non era mai accaduto. Colpa dell’uso scomposto, bulimico, prematuro tecnologie e del cosiddetto multitasking, ossia l’abitudine dei nativi digitali di utilizzare tre, anche quattro strumenti tecnologici tutti insieme.
Occorre sottolineare che la abilità dei bambini di mantenere viva l’attenzione è considerata dagli esperti un efficace indicatore di successo in ambiti come l’acquisizione del linguaggio, nel problem solving ed in altre tappe delicate dello sviluppo cognitivo. Inoltre l’uso massiccio e compulsivo del digitale determina la rinuncia ai contatti sociali, depressione, ansia, sfiducia in se stessi, e può alimentare anche la diffusione di abitudini alimentare scorrette, abuso di alcol, assunzione di droghe.
Toglietegli tutto, ma non telefonini, pc e social
I ragazzi dei Duemila vivono dentro le tecnologie, si nutrono di tecnologie. I loro “muretti” sono i social, ossia i luoghi d’incontro per eccellenza. Che si chiamano Instagram, Tik Tok, Bereal, e via dicendo. Dove pubblicano stories e reels, foto e video. Il confine tra realtà di tutti i giorni e mondo virtuale non esiste più: il filosofo Luciano Floridi parla e scrive di “onlife”, il nuovo spazio dove giovani ed adulti sono sempre connessi.
Quello dove anche il confine tra la vita privata e quella virtuale è stato spazzato via da tempo, come sostiene il sociologo Carlo Bordoni, che scrive e parla di “intimità pubblica”. Un ossimoro che spiega meglio di cento parole come per i ragazzi (e non solo per loro) sia diventata prassi quotidiana mettere in vetrina, online appunto, particolari privati e intimi della loro vita senza pudore, né paura alcuna.
Perché la rete è la loro unica, esclusiva vetrina virtuale, quella dove mettono in mostra una vita dopata, spesso farlocca, comunque sempre assai fashion. Nelle stories sorridono sempre, sono bellissimi e assai curati, sempre in ottima compagnia, felici d’apparire. Le attività di “vetrinizzazione” della vita giovane appaiono sempre straordinarie, eccezionali, uniche. Già, appaiono.
Perché così non è, purtroppo. Perché dietro i display dei telefonini i giovani sono invece spesso tristi e depressi. E soli. Per molti di loro la tecnologia è uno scudo, una moderna “maschera pirandelliana” che indossano per non affogare nel mare magnum del nulla della vita di oggi.
Vita da adolescenti, i like, il narcisismo digitale, i nuovi disturbi
Le ragazzine si fotografano seminude in atteggiamenti ammiccanti. Ignare che gli scatti possano essere catturate dalle mani sbagliate e da qui nei circuiti di pedofili e malintenzionati. Col rischio assai reale di minarne la reputazione digitale, e non solo quella. I maschi non mancano di riprendere bravate e violenze per poi postare ogni cosa in rete come fosse tutto normale.
Potenza dei like! La nuova droga dei ragazzini di oggi, veri e propri narcisisti digitali. Quelli che hanno un profilo social già a otto, nove anni. Con o senza il consenso dei genitori. In rete si cercano, si trovano, comunicano, si conoscono e socializzano. Dove praticano anche le challenge online più pericolose. Sono iperconnessi e “drogati” di tecnologie. Non riescono a fare a meno di navigare e di giocare online, di chattare giorno e notte. Ecco perché dormono un’ora e mezza in meno rispetto ai loro genitori.
Con grave compromissione del sistema immunitario e della capacità di concentrazione e di ragionamento. Aspettare? Non ne sono capaci. Colpa della istantaneità delle chat e di internet. Sono sempre iper occupati, non sopportano la noia e l’inerzia. Si spiegano così le loro scarse o nulle creatività e fantasia. Conoscono bene la rete, è vero. Solo che la sanno usare senza responsabilità, né consapevolezza. Lo psichiatra Vittorino Andreoli li definisce “ingenui digitali”. Nonostante tutto il loro stato di salute è migliore di quello delle generazioni precedenti.
Ma sono più fragili dal punto di vista psicologico. Agli obbiettivi intrinseci, cioè quelli che servono per trovare un senso alla vita, preferiscono gli obbiettivi estrinseci, sognano di diventare ricchi e famosi, poter vantare una immagine felice e vincente. Sono individualisti ed egocentrici. Una generazione con lo sguardo all’ingiù, che ha rinunciato al contatto “face to face”.
Considerano la rete un mondo a parte. Un luogo dove le difese e la presenza del corpo si annullano a causa dell’assenza di segnali fisici, di misure d’intervallo, di movimenti e fisionomie. Giovani dall’umore instabile, lontani dal sociale e dalla politica. Diversi dai coetanei di prima anche a livello cognitivo. Con le tecnologie che ne condizionano il pensiero e il modo di pensare, che da analogico si è trasformato in strutturato, sequenziale, referenziale e vago. Gli strumenti digitali hanno modificato anche il loro modo di fare esperienza: li ha avvicinati a ciò che è lontano allontanandoli da quello che è vicino.
Diversi da non nel pensiero, nell’apprendere, nel fare sport
l cervello dei nativi digitali è molto diverso dal nostro: viaggia abitualmente su ritmi accelerati. Dispongono di un pensiero divenuto sintetico e meno produttivo. Non imparano più attraverso il ragionamento, semmai utilizzano i processi incentrati sulla condivisione e sulla riproduzione. Il loro linguaggio è assai scarno, si dice che al massimo conoscano 300 parole. C’è di che preoccuparsi visto che il nostro pensiero si basa proprio sulle parole: più ne conosciamo, meglio saremo bravi nel pensare.
E attenzione, perché sono proprio le parole il “motore” dei social, delle messaggerie, della rete. Più ne sappiamo, meglio ci verrà facile evitare equivoci e malintesi, ridurre al minimo aggressività e violenza verbale. Un congruo bagaglio di parole ci consentirà di scegliere quelle giuste nel descrivere le nostre posizioni, i sentimenti, le nostre arrabbiature e le eventuali rivendicazioni senza offendere o aggredire nessuno. La rivoluzione digitale ha modificato ogni area della crescita evolutiva e dello sviluppo, determinando un mutamento copernicano anche nell’apprendimento, nelle relazioni e nella sessualità dei nuovi giovani.
Che praticano pure meno sport dei coetanei di una volta. Basta guardare le loro ginocchia: non c’è ombra di graffi e lividi. Sono più lenti nel correre: ogni dieci anni l’attuale generazione perde in media cinque chilometri l’ora.
Che fare per educarli? Nuove abilità pedagogiche e tecnologiche
Come prima cosa occorre intervenire a casa, dove ai genitori vanno consegnate le nuove, necessarie abilità pedagogiche e tecnologiche per educare i nativi digitali. Quindi educazione al digitale, il compito numero due che spetta alle famiglie. Significa abituare i ragazzi fin da piccoli ad utilizzare con responsabilità e con consapevolezza tutte le tecnologie.
Tocca alle scuole completare l’opera attraverso l’avvio delle necessarie azioni formative rivolte, ai nuovi adolescenti soprattutto, ma anche agli stessi genitori. Ovviamente servono scuole aperte, sensibili, perfettamente incardinate nel territorio, capaci di dar vita al quel tanto auspicato nuovo patto educativo con le famiglie. E’ tempo che istituzione scolastica e genitori tornino a parlare la stessa lingua. Occorre condivisione educativa. Progetti di sostegno alla dimensione pedagogica.
Azioni importanti redatte e coordinate da pedagogisti e psicologi. Il supporto al processo di riappropriazione della funzione educativa aiuterà i nuovi genitori a legittimarsi, li renderà consapevoli di realizzare le scelte più idonee nei confronti dei figli. Scelte che non possono prescindere dalla conoscenza dei cosiddetti basilari educativi, cioè quelle determinazioni genitoriali che permettono ai ragazzi di crescere in relazione alla loro età.
Trattasi di azioni formative costruite sulla base delle indicazioni pedagogiche ed educative mutuate dalle conoscenze aggiornate delle diverse età dello sviluppo. Una volta per tutte i nuovi padri e le nuove madri devono capire che le fondamenta del lavoro pedagogico coi figli vanno costruite nei primi mesi e nei primi anni di vita.
Quel lasso di tempo in cui i genitori hanno l’esclusiva dell’azione educativa rivolta ai figli. Il momento in cui i vari influencer, competitors ed antagonisti (gruppo, contesto sociale, mass media, social, blog, ecc.) sono ancora fuori dalla porta di casa, ma non passerà tanto tempo dalla loro irruzione nella vita del giovane, col risultato di lasciare poco spazio alla successiva azione dei genitori. Ecco perché il gran lavoro coi figli va fatto nei primi anni di vita. Più il figlio si avvicina all’adolescenza, maggiori saranno le nostre difficoltà nell’agganciarlo emotivamente ed educativamente.
Conclusioni
Infine, competenze tecnologiche. Oggi più che mai utili per i nuovi genitori. I quali hanno il dovere di aggiornarsi, di comprendere il funzionamento dei vari strumenti digitali, dei social, dei sistemi di messaggerie più in voga tra gli adolescenti. Diventare più abili dei ragazzi nell’uso del digitale è impresa impossibile. Più facile è provare ad affiancarli. Non paga spiarli nei loro movimenti online.
Basta osservarli a scuola, mentre giocano coi compagni, per rilevare come si comportano con gli altri. Il reale è sempre predittivo del virtuale. Ciò che avviene nel primo, si verificherà quasi sempre nel secondo. Un adolescente osservato si sente importante, acquista fiducia negli adulti, percepisce l’amore dei genitori in ogni cosa che fa.
A determinare l’uso costruttivo e responsabile della rete non è la competenza digitale dei genitori, è la qualità del coinvolgimento affettivo dei ragazzi nella vita di casa. Chi è stato educato a casa difficilmente utilizzerà la rete per fare del male a se stesso ed agli altri. I genitori devono sforzarsi di spiegare ai ragazzi che la rete non è una zona franca dove si fa ciò che si vuole. Perché le regole, le norme e le leggi del reale valgono anche in internet.
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