Gli "svincolati" nello sport
- Redazione
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 6 min

A cura di Guido Corti - Presidente Comense asd - Stella di bronzo Coni
Tra qualche giorno terminerà il primo anno “degli svincolati”, ovvero, la prima stagione sportiva dopo l’eliminazione del vincolo sportivo che, dopo la firma del Primo tesseramento, legava gli atleti alla società di appartenenza per un tot di anni o fino a una certa età (dipendeva dallo sport), e dal primo luglio inizierà il secondo “liberi tutti”. Ecco alcune mie considerazioni dal punto di vista di collaboratore di Consulenti dello sport, ma soprattutto come presidente societario e di “reclutatore” che da 27 anni propone corsi nelle scuole primarie per avvicinare bambine e bambini alle attività gestite dalla mia storica società sportiva, la Comense.
ASPETTO GIURIDICO: PRO, per gli atleti: Tutela dei diritti individuali Lo svincolo sportivo, specie nel dilettantismo e nei settori giovanili, rispetta i principi costituzionali di libertà personale e autodeterminazione (art. 2 e 13 Costituzione italiana).
Tenere un atleta vincolato contro la sua volontà può configurarsi, in casi estremi, come violazione dei diritti fondamentali. La giurisprudenza italiana ha riconosciuto che il tesseramento non può trasformarsi in uno strumento di costrizione, soprattutto se non c’è un contratto professionistico.
CONTRO: Tutela per le società Le società, pur dilettantistiche, investono spesso un'attività economicamente rilevante sul reclutamento, con investimenti formativi, tecnici e infrastrutturali. In assenza di un vincolo minimo, non hanno strumenti giuridici per tutelarsi da fughe improvvise. Problema comune: un atleta giovane (o i suoi genitori), reclutato alle elementari e allenato per 5 - 6 - 7 anni dallo staff di una società, vedono, in un altro club la possibilità di “vincere” più partite e a fine stagione cambia squadra senza che la società formativa riceva alcun indennizzo, se non - forse - quando diventerà senior di una certa categoria, tra molti anni.
ASPETTO EDUCATIVO PRO: Crescita personale e autonomia Lo svincolo sportivo educa l’atleta alla responsabilità delle proprie scelte e favorisce lo sviluppo dell’autonomia, elemento fondamentale nella formazione dei giovani. Educare a scegliere bene dove e con chi praticare sport diventa parte della crescita.
CONTRO: Rinuncia alla fatica e alla pazienza Senza vincoli minimi, l’atleta può sviluppare una mentalità “da consumatore” e non da sportivo, abbandonando ogni volta che incontra ostacoli o conflitti. Effetto educativo negativo: l’atleta non impara a gestire le difficoltà, a negoziare, a crescere nel conflitto costruttivo o a ricavarsi lo spazio che merita, lavorando e allenandosi di più. Tanto a fine stagione potrà andare dove vorrà, con altri compagni differenti e giocare di più o dove “l’allenatore lo capisce di più”.
ASPETTO ECONOMICO PRO: Mobilità = competizione = crescita In un sistema dove lo svincolo è libero o più semplice, le società devono competere anche sul piano della qualità dei servizi, come nel mercato libero. Le società con staff migliori, strutture moderne e progetti seri tendono a prevalere, innalzando il livello medio della competitività.
CONTRO: Concentrazione di risorse e atleti Il rischio è la polarizzazione: le società più grandi attraggono sempre più talenti, impoverendo il territorio e le piccole realtà. Questo può generare un mercato distorto, dove le risorse si concentrano su pochi club, mentre gli altri si svuotano e falliscono. Effetto negativo: Le società che si possono permettere di fare sport èlitario sono molte meno rispetto a quelle che fanno sport di base e reclutamento, ma con meno risorse economiche rischiano di essere sempre underdog rispetto ai confronti con gli altri. Le società che non necessitano di investire sul reclutamento perchè possono usufruire del lavoro degli altri, possono cosi’ proporre la vetrina migliore e ricevere i frutti di coloro che sono insoddisfatti, senza fare investimenti e troppa fatica nella costruzione delle fondamenta, su cui si basano le società da cui arrivano i loro atleti. E che vantaggio hanno ora le grandi società a fare accordi tecnici e di collaborazione (o di scambio di NAS (per il basket), con le altre realtà del territorio, senza essere sicure che “i migliori talenti” a fine stagione vadano da loro, oppure, in virtù dello svincolo, vadano dove meglio li aggrada, in altra società di provincia, o perchè no in altra società Italiana?
ASPETTO PSICOLOGICO E SOCIALE PRO: Prevenzione del disagio giovanile Spesso lo svincolo consente di uscire da ambienti tossici o disfunzionali: allenatori autoritari, genitori invadenti, dinamiche di bullismo, ecc. Esempio concreto: un ragazzo di 13 anni in una squadra con atti di bullismo può cambiare squadra senza “permessi” complessi.
CONTRO: Sradicamento e perdita di riferimenti Se cambia troppo spesso squadra, un atleta può perdere continuità educativa e sociale, legami importanti e stabilità relazionale. L’atleta rischia di diventare “nomade sportivo”, sempre in cerca di novità ma senza vere radici né appartenenza. Effetto devastante: Le società diventano ostaggio degli allenatori e dei genitori. “Se non mi paghi di più ti porto via tutta la squadra”, “Se mi togli quel gruppo, ce ne andiamo tutti da un’altra parte”, “Se mio figlio non gioca più di tot minuti o non cambi allenatore, lo porto via”.
CONCLUSIONI
Lo svincolo sportivo viene spesso presentato come un diritto dell’atleta, ma in realtà è una facoltà condizionata dal contesto sportivo, educativo e giuridico. La libertà di cambiare squadra deve essere bilanciata con i diritti e gli investimenti delle società, l’interesse collettivo del sistema sportivo e la formazione dell’atleta stesso In alcuni casi lo svincolo consente all’atleta di trovare un contesto più adatto, dal punto di vista tecnico o umano. Tuttavia, questo deve avvenire con regole chiare, evitando il “turismo sportivo”. Se ben regolato, lo svincolo può essere uno strumento per uscire da ambienti tossici, ma non deve diventare una scusa per evitare il confronto o lo sforzo personale. Sapere che un atleta può andarsene spinge le società a migliorarsi, ma questa competizione non può essere lasciata del tutto al libero mercato, altrimenti le più piccole verrebbero schiacciate. Un giovane che cambia squadra troppo spesso non costruisce relazioni stabili, né apprende il valore dell’impegno e della pazienza. Lo sport dovrebbe educare alla resilienza, non all’usa e getta.
E su questo discorso, vanno istruiti anche i genitori
Le società, soprattutto dilettantistiche, investono tempo, risorse e volontariato per crescere gli atleti. Senza un vincolo minimo o un risarcimento, questi sforzi rischiano di essere vanificati. Chi forma, perde. Chi ha soldi, prende. Questo è un meccanismo pericoloso. In assenza di regole, le società più ricche o attraenti “fagocitano” il talento, lasciando le realtà locali impoverite e svuotate e lo sport territoriale perde valore. Perchè poi ci sono anche “tutti gli altri”, quelli a cui non interessa cambiare squadra, allenatore o società, che sono la maggioranza. Ma se le squadre ogni anno perdono pezzi per colpa dello svincolo, le società non riescono a pianificare percorsi seri di crescita collettiva, che sono fondamentali in ambito giovanile, e nemmeno piu’ semplicemente a prenotare ore di palestra, a tenere gli allenatori o a fare promesse che poi potrebbero essere smentite ad inizio stagione. Lo svincolo non può essere considerato un diritto assoluto, come la libertà di parola o il diritto allo studio. È piuttosto una facoltà che deve rispettare:
Il principio di reciprocità (l’atleta ha libertà, la società ha tutele);
Il principio di proporzionalità (lo svincolo ha senso, ma entro certi limiti d’età o contrattuali);
Il principio di sostenibilità del sistema sportivo (evitare fughe di massa e accaparramenti)
Il principio di solidarietà, con risarcimenti premianti l’attività svolta precedentemente, ma immediati, non a futura attività.
SOLUZIONI POSSIBILI
Vincolo temporaneo e rinnovabile ogni anno Con possibilità di uscita solo dopo tot stagioni o a fine categoria giovanile, per garantire stabilità alle società e ai coaching staff.
Premio di formazione obbligatorio Se un atleta cambia squadra, la nuova società versa immediatamente una cifra simbolica o reale a favore della società di provenienza, a compensazione degli investimenti fatti per portare quell’atleta nello sport che pratica.
Tutele rafforzate per società dilettantistiche Le piccole realtà locali dovrebbero avere meccanismi di protezione, ad esempio la possibilità di trattenere i giovani fino a una certa età o di ricevere fondi per la formazione, compreso il premio di reclutamento per chi lo ha reclutato, per quello sport, già nella scuola elementare “strappandolo” agli altri mille progetti sportivi che vengono proposte nelle primarie - ,se non già nelle scuole di infanzia da qualche categoria di sport - .
Codice etico sportivo condiviso Non solo regole scritte, ma una cultura sportiva diffusa che scoraggi lo “shopping di atleti” e promuova la formazione vera, ed eviti i contatti “informali” durante la stagione, tra coach-atleti e società-atleti vincolati in attesa del 30 giugno.
Lo svincolo sportivo non è un diritto assoluto, ma uno strumento da gestire con equilibrio. Se lasciato incontrollato, rischia di:
indebolire la formazione giovanile;
incentivare logiche di mercato poco etiche;
danneggiare le società che fanno sport con passione e serietà.
La vera sfida è coniugare la libertà dell’atleta con la responsabilità verso il contesto sportivo. Servono regole giuste, premi per chi forma e limiti per chi sfrutta, ed evitare che, facendo un esempio a caso (ogni citazione non è puramente casuale), Paolino, top scorer e mvp della squadra under 14 della società A con una media di 20 punti a partita, venga attratto dalle sirene della squadra B che vince tutte le partite e ha le divise più belle, si trasferisca, passi da un minutaggio di 30-35 minuti a una media di 5, a metà stagione finisca in panchina ed ancor prima di fine stagione, smetta di giocare dedicandosi a fare il PR per la discoteca del paese. Se fosse rimasto nella società A, da vincolato, magari non sarebbe rimasto top scorer, magari avrebbe fatto lo stesso il PR, ma sicuramente, a Paolino, non gli sarebbe passata la voglia di giocare lo sport che amava da 7 anni e sarebbe anche rimasto con i suoi amici di una vita. Questo esempio, non è una sconfitta per Paolino, ma una sconfitta del sistema svincolo, ed è per questo che, a chi verrà a capo dello sport italiano, propongo una attenta riflessione nei termini e dei modi di una eventuale riforma della riforma.