Quando il leader vede più lontano
- Redazione

- 8 set
- Tempo di lettura: 2 min

A cura di Cristina Lenardon - Avvocato, ex atleta nazionale pallamano, docente scuola regionale sport Coni Emilia Romagna
La squadra non è fatta di automi, ma di persone che scelgono di seguire una visione
C’è un’immagine che resta nella memoria della semifinale dei Mondiali di pallavolo: le giocatrici a terra, esauste, abbracciate. Al centro, in piedi, Julio Velasco. Trionfante. Calmo. Presente.

Un vero circolo vivo tra chi ha una visione e chi sceglie di seguirla, metafora perfetta della grandezza di un leader: vedere oltre, capire chi deve fare cosa, comunicarlo con chiarezza e conquistare fiducia. C’è chi gioca quasi tutta la partita. Chi entra per pochi minuti per eseguire un gesto che solo lei sa fare in quel momento. Chi non entra, ma ha costruito le prime pagine del percorso verso la finale. Eppure tutte sanno di essere parte del risultato. Il leader trasforma le potenzialità individuali in contributo collettivo.
I ruoli e i tempi in campo sono calibrati con precisione. Alcune giocatrici, stelle nei club, hanno spazi più ridotti in nazionale. Non è una limitazione. È un abito sartoriale, costruito da Velasco per il contesto dei mondiali. Ogni minuto conta. Ogni azione ha senso. Ognuno partecipa al grande disegno.
Un giocatore - in qualunque sport - può desiderare più spazio. È naturale. Vuole brillare, vuole dimostrare il proprio valore. L’individualismo esiste per forza, altrimenti non sarebbe vero sport.
Ma la fiducia trasforma il desiderio individuale in armonia.
Seguire le indicazioni del leader non significa spegnere il proprio giudizio, anzi. Significa consegnare parte di sé, del proprio talento, della propria energia, a chi ha guadagnato la tua stima, per costruire insieme a tutti gli altri qualcosa di più grande.
Un allenatore autoritario cerca il comando: impone le sue scelte, soffoca le energie, pretende obbedienza cieca. Predilige servirsi di automi.
Il leader, invece, ispira. Chiarisce il piano e comunica con trasparenza. Vuole al suo fianco persone pensanti.
Durante la finale contro la Turchia, Velasco chiama un time-out: “Non facciamo tanti pallonetti, bisogna menare.” Non dice come schiacciare. Non indica l’angolazione. Dà la direzione.
Poi sei tu, giocatrice, a dover trasformare quella parola in gesto tecnico calandolo nel contesto variabile, a cambiare l’angolazione in funzione del muro.
Questo è un altro aspetto cruciale per creare un clima di fiducia: formare giocatori autonomi che sappiano agire con consapevolezza senza sostituire l’allenatore/allenatrice, perché lui /lei resta fondamentale per guidare le tattiche, riportare calma nei momenti di pressione, decidere le rotazioni e dare la spinta quando serve.
Fiducia e autonomia convivono, si nutrono a vicenda: i giocatori sanno adattarsi, prendere decisioni consapevoli e trasformare la visione in azione concreta. In un circolo vivo, appunto.
Oro olimpico. Oro mondiale. In un anno. Non è un caso. È visione chiara, disciplina, coraggio. Persone pensanti che scelgono di seguirla, giorno dopo giorno, partita dopo partita. È così che nasce la generazione delle Fenomene.










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