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Un uomo che pratica lo sport...


sport CDS


di Dott. Giuliano Lavagnini dottore commercialista in Piombino


“Un uomo che pratica lo sport è molto meglio di un centinaio che lo insegnano.”

 

Così diceva Knute Rockne, leggendario giocatore e allenatore di football americano, vissuto a cavallo tra l’800 e il ‘900.

 

Partire da questa considerazione e da questa presa di coscienza, sembra essere il miglior spunto per identificare il ruolo che l’allenatore, il tecnico o l’istruttore debbano avere nella promozione dello sport e nella crescita degli atleti che siano loro affidati.

 

Lo sport è un viaggio e se vogliamo un sogno: fare in modo che questo non finisca mai è una delle caratteristiche più importanti che un bravo allenatore deve avere.

La capacità di allenare i sogni, questa è una delle qualità che caratterizzano un bravo Coach, come un bravo Capo, affinché il viaggio non finisca mai.

 

La strategia che l’allenatore ha davanti a sé è quella di considerarsi una componente, importante finché si vuole, ma pur sempre una componente. Un non-protagonista, il cui compito è far diventare protagonisti gli atleti che allena.

 

Ciò significa, quindi, che la Società, i suoi dirigenti e lo Staff tecnico debbono sapere esattamente quale desiderino sia il punto di arrivo, disegnando il percorso formativo che gli atleti dovranno seguire, per potere dire che sono diventati migliori di sé stessi e degli insegnamenti del loro coach.


E allora, appare appropriato parlare di Coaching, cominciando dall’individuare cosa significhi.

 

Il Coaching, secondo la definizione datane da Pannitti e Rossi, nel loro testo “L’essenza del coaching, F. Angeli 2012”, è un metodo di sviluppo di una persona, di un gruppo o di un’organizzazione, che si svolge all’interno di una relazione facilitante, basato sull’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi di cambiamento e miglioramento autodeterminati e realizzati attraverso un piano d’azione.”

Quindi, cosa può definirsi la cosa più importante per chi fa Coaching, se non aiutare le persone a migliorarsi, piuttosto che limitarsi a impartire degli insegnamenti?

E quale è l’ulteriore effetto se non quello che l’agire sul singolo, determina il fatale giovamento e la crescita di tutta la squadra?!

 

Nell’ottica del percorso che porti al raggiungimento degli scopi che la Società e lui stesso si sono preposti, l’allenatore, per potere affrontare il compito non può non acquisire consapevolezza e responsabilità del ruolo e di quanto questo passo attraverso la crescita di sé stesso, sia come individuo, che come soggetto inserito nell’ambiente sportivo.

 

È facile dire, quindi, che si debba stabilire un fortissimo legame tra tutte le componenti: dirigenza, staff tecnico e atleti, che generi quell’ impegno che, mirato al potenziamento delle attitudini sportive, contemporaneamente determini, la crescita umana della persona e del gruppo.

 

L’allenatore deve porsi, quale esempio tangibile, come l’elemento facilitante il processo di cambiamento e di miglioramento, indicando gli obiettivi e i programmi per il loro raggiungimento, nonché ponendo in essere tutti i correttivi necessari, attraverso il monitoraggio costante e, al contempo, mediante lo stimolo negli allievi della capacità di scelta e della responsabilità che ne deriva.

 

In ogni uomo, in ciascuno di noi, esiste un nocciolo duro disponibile a essere estratto per realizzare la naturale tendenza alla crescita.

Questo è ciò che sosteneva Tom Landry, anch’egli allenatore di football americano e, mi pare, che non ci sia niente di più azzeccato, per definire quanto lo spessore umano di un Coach, nel processo di acquisizione della consapevolezza del proprio ruolo, influenzi il parallelo processo di formazione umana e sportiva degli atleti.

 

“Un allenatore è qualcuno che ti dice quello che non vuoi sentire, ti fa vedere quello che non vuoi vedere, in modo che tu possa essere quello che hai sempre saputo di poter diventare”.

 

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