Il potere di firma nelle associazioni sportive dilettantistiche: tra norme, responsabilità e casi concreti
- Redazione

- 25 ago
- Tempo di lettura: 4 min

A cura di Emanuela M. De Leo - Avvocato
Il funzionamento delle associazioni sportive dilettantistiche (ASD) è caratterizzato da un equilibrio tra autonomia privata, regole di diritto comune e principi di correttezza gestionale. Uno degli snodi più delicati è quello del potere di firma, ossia della legittimazione a sottoscrivere contratti e documenti che impegnano giuridicamente l’associazione.
A differenza delle società di capitali, dove i poteri degli amministratori trovano disciplina dettagliata nel codice civile, per le ASD ci si deve riferire principalmente all’autonomia statutaria. L’articolo 16 c.c. stabilisce che lo statuto debba disciplinare l’ordinamento e l’amministrazione per le associazioni riconosciute, mentre l’articolo 36 c.c. affida agli accordi tra associati la regolamentazione interna per le associazioni non riconosciute. Nella prassi, quasi sempre lo statuto attribuisce al presidente la rappresentanza legale e con essa il potere di firma.
Questo significa che il presidente può sottoscrivere contratti con fornitori, convenzioni con enti pubblici o privati, accordi di sponsorizzazione e, in generale, qualsiasi documento che comporti obbligazioni per l’associazione. Tuttavia, lo statuto può anche prevedere forme di delega in favore del vicepresidente o di altri consiglieri; in mancanza, il presidente stesso può conferire una procura in determinate situazioni (ad esempio in caso di urgenza), con la quale attribuisce a terzi la facoltà di firmare determinati atti, salvo comunque ratifica da parte del Consiglio Direttivo nella prima data utile.
Il caso concreto: il presidente può firmare la propria lettera di assunzione?
La questione si complica quando il presidente dell’ASD intenda assumere un ruolo retribuito nell’associazione stessa, ad esempio come tecnico, istruttore o addetto amministrativo. Si pone allora la domanda: può il presidente firmare la propria lettera di assunzione o d’incarico?
La risposta, alla luce del diritto civile, è negativa. Sebbene non ci siano disposizioni specifiche in tema di ASD o SSD, si applica il principio dell’analogia legis, che consente di colmare la lacuna richiamando le disposizioni dettate per fattispecie giuridiche analoghe, in particolare quelle previste dal codice civile in materia di associazioni riconosciute e non riconosciute, nonché di società, nella misura in cui risultino compatibili con la natura e le finalità proprie degli enti sportivi dilettantistici. Nel caso che ci occupa, infatti, si avrebbe un contratto concluso con se stesso: il presidente, quale rappresentante dell’associazione, stipulerebbe un atto a favore proprio, nella veste di lavoratore o collaboratore. L’articolo 1394 c.c. prevede che il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato sia annullabile, qualora il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile dal terzo. Ancora più rilevante è l’articolo 1395 c.c., che disciplina il contratto con se stesso, ammettendolo solo se autorizzato specificamente o se il contenuto è predeterminato in modo da escludere rischi di pregiudizio per il rappresentato.
Pertanto, la sottoscrizione della propria lettera d’incarico da parte del presidente non garantirebbe la validità dell’atto e potrebbe esporre l’associazione a contestazioni. La soluzione corretta è che:
Il consiglio direttivo deliberi l’instaurazione del rapporto di lavoro o di collaborazione con il presidente, specificando mansioni, durata e compenso.
Un altro membro del consiglio direttivo (generalmente il vicepresidente o il segretario) venga incaricato di firmare la lettera di assunzione in nome e per conto dell’associazione.
Tale procedura venga messa a verbale e conservata agli atti, in modo da attestare la volontà collegiale dell’organo amministrativo.
Questa prassi è coerente con i principi di trasparenza e corretta amministrazione tipici delle associazioni e riduce i rischi di invalidità dell’atto per conflitto di interessi.
Responsabilità del presidente e tutela dei terzi
Oltre al tema del conflitto di interessi, occorre considerare che chi firma in nome dell’associazione ne assume anche la responsabilità. L’articolo 38 c.c. stabilisce che, nelle associazioni non riconosciute, le persone che agiscono per conto dell’associazione rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte. Questo principio ha portato a numerosi contenziosi: la giurisprudenza ha chiarito che non basta la mera carica di presidente per fondare la responsabilità personale, ma occorre dimostrare l’effettiva ingerenza nella gestione o l’assunzione diretta di obbligazioni. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 6626 del 28 febbraio 2022, secondo cui la mera titolarità della carica di legale rappresentante non è sufficiente per configurarne la responsabilità solidale per i debiti tributari della società. È necessario, invece, accertare che il rappresentante abbia concretamente svolto un'attività negoziale in nome e per conto dell'associazione che ha creato il debito. I giudici dovevano verificare quale ruolo effettivo avesse avuto il rappresentante nelle operazioni gestionali elusive.
Particolare rilievo hanno assunto le controversie in materia fiscale. Interessante in tal senso l’Ordinanza n. 2539 del 01 febbraio 2018 della Cassazione, in cui la Suprema Corte ha stabilito che la notifica di un atto tributario a un soggetto che non è il rappresentante legale formale può essere ugualmente valida se quel soggetto agisce come rappresentante di fatto e se l'ente, con un suo comportamento colpevole, ha creato questa apparenza ingannevole verso il fisco.
Ciò conferma l’importanza di una gestione attenta e di una corretta ripartizione di responsabilità all’interno del consiglio direttivo.
Opponibilità delle limitazioni e tutela del terzo contraente
Un ultimo aspetto riguarda l’opponibilità ai terzi delle limitazioni interne al potere di firma. Analogamente a quanto avviene per le società di capitali, è ormai un principio consolidato di giurisprudenza e dottrina che il terzo in buona fede possa fare affidamento sulla legale rappresentanza del presidente, anche se quest’ultimo ha ecceduto i limiti statutari. Solo in presenza di dolo o collusione il contratto può essere invalidato. Ciò significa che eventuali vizi nelle procedure interne (ad esempio mancata autorizzazione del consiglio) non travolgono automaticamente gli effetti verso l’esterno, ma restano rilevanti nei rapporti interni tra presidente e associazione.
Conclusioni e raccomandazioni operative
Alla luce delle norme e della giurisprudenza, si può affermare che:
Il presidente di un’ASD è titolare del potere di firma, salvo deleghe o limitazioni statutarie.
Non può tuttavia firmare un contratto di lavoro o collaborazione a proprio favore, poiché si configurerebbe un contratto con se stesso in conflitto di interessi.
La corretta procedura richiede una deliberazione del consiglio direttivo e la firma di un altro componente incaricato.
Una gestione trasparente e formalizzata riduce i rischi di contenzioso, sia civile sia fiscale.
In questo modo si tutela non solo la validità formale dei contratti, ma anche la credibilità dell’associazione, evitando che il potere di firma si trasformi in uno strumento di esposizione a responsabilità personali e patrimoniali.









Commenti