La promozione dello sport quale valore sociale
- Redazione
- 2 lug
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A cura di Katia Arrighi
Di per sé il titolo è talmente profondo che le argomentazioni al riguardo potrebbero essere realmente infinite. Si parla di sport, si parla di promozione, si parla di valore sociale il cui solo concetto racchiude filosofia , etica , sociologia.
Dal punto di vista etico, il valore sociale è ciò che contribuisce al bene comune. Filosofi come Aristotele parlavano di “EUDAIMONIA” intesa come felicità e realizzazione della vita umana stessa, raggiungibile anche attraverso la partecipazione attiva alla vita della comunità, che loro chiamavano polis.
Il valore sociale promuove virtù, giustizia, solidarietà e nessuno mi persuade dal credere che possa essere idoneo a promuovere anche il proprio benessere personale. Una collettività coesa, partecipe, senza conflitti interni o esterni è una comunità che può crescere e migliorare sé stessa e la vita dei propri cittadini e cittadine. Vero è che poi dal profondo dell’animo umano compare quella voce devastante e corrosiva che porta allo scontro, alla divisione, alle invidie immotivate ma in linea di principio una comunità coesa è una comunità che crea bene sociale condiviso e individuale. Tutto sta ad evitare che in una cesta di mele bellissime si metta una mela marcia perché, purtroppo, non è la marcia che migliora come le altre ma è proprio lei che le deteriora e le fa marcire.
Nell’ambito prettamente sportivo l’analisi al valore sociale dello sport è innegabile e nessuno potrebbe mai confutare il contrario , a parte forse vedere le mamme litigare sugli spalti insultando avverari e arbitro ma questo è un altro discorso.
Lo sport rappresenta un fenomeno sociale, culturale ed economico capace di incidere sul tessuto civile di una nazione che nasce da un vero e proprio valore costituzionale e legislativo .
Dell’articolo 33 della Costituzione hanno parlato tutti , chi più chi meno in maniera giuridicamente dettagliata ma io ultimamente sto rivolgendo la mia attenzione a tentare di esplorare il funzionamento della Unione Europea in tema di sport dove gioca un ruolo da “ attaccante” usando una metafora calcistica, l’articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che. insieme all’articolo 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, riconosce il valore educativo, sociale e culturale dello sport .
Quali sono le barriere che lo sport può abbattere?
La risposta è molteplice e se usciamo per un attimo dalle fredde aule accademiche dove si parla di diritto e articoli ed entriamo nelle realtà sportive vi troviamo inclusione, integrazione, coesione, accettazione.
Detta cosi, lo so, può apparire essere un mondo composto da simpatici unicorni rosa dove tutti mangiano zucchero filato e si abbracciano con amore ma sappiamo tutti che non è a questo che ci si riferisce quando si dice che lo sport crea coesione e integrazione.
L’agonismo, la lotta, le rivalità , sono cosi feroci a volte che gli unicorni non esistono ma esistono lame affilate e morsi anche poco regolamentari.
Quando si parla di inclusione e integrazione si parla di quel processo che attravero lo sport porta all’accettazione del diverso, del differerente, dello sconosciuto ed è un processo lungo, lunghissimo che impiegherà ancora eoni prima della sua realizzazione.
Chi dice “ io non sono per nulla razzista “ ad esempio, mente e lo sa . Tutti noi lo siamo , in un modo o nell’altro e tutti noi subiamo razzismo , in un modo o nell’altro. Io vivo a pochi km dalla Svizzera e gli svizzeri non sono certo dei galantuomini ( non tutti ovviamente ) con i frontalieri e gli italiani. Spesso sui giornali svizzeri i toni usati verso noi italiani non sono certo i termini che userebbe un lord inglese per definire un vicino di casa per cui il razzismo che comporta il sentirsi dire di essere “ inferiori” chi vive nelle terre di confine lo conosce. E’ pur vero che anche noi con loro non ci limitiamo a battute sagaci perché fa parte dell’animo umano e chi dice il contrario di solito mente. Sono razzista? No, non lo sono o perlomeno cerco di non esserlo ma i miei occhi notano il “ diverso “ ed è normale. E’ proprio questo “ notare il diverso “ da noi che attraverso lo sport diventa educazione perché se noi insegnamo ai nostri figli a osservare ciò che è diverso ma considerarlo reale insegnamo loro che il diverso non è un pericolo e la mente umana, si sa , se non percepisce nell’altro un pericolo automaticamente si rilassa.
Le regole dello sport, la convivenza, gli insegnamenti aiutano a fare tutto questo ed è interessante una riflessione sulla differenza fra integrazione e inclusione attraverso lo sport , analizzata in tantissimi convegni fatti anche in passato.
L'inclusione implica accogliere e valorizzare le diversità all'interno di un gruppo o sistema. Non si tratta solo di permettere l'accesso, ma di creare un ambiente in cui tutti si sentano parte attiva e rispettata.
L'integrazione si riferisce al processo attraverso cui una persona o un gruppo entra a far parte di un sistema esistente, cercando di adattarsi alle sue regole e strutture.
L’inclusione è più proattiva e trasformativa: cambia il sistema per accogliere tutti.
L’Integrazione è più adattiva e conservativa: chiede all’individuo di adattarsi al sistema esistente.
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