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  • I simboli olimpici e paralimpici

    A cura di Massimiliano Zito - O.C. Consulenti dello sport Quando guardiamo un logo conosciuto la nostra mente immediatamente associa a quel logo un significato ben preciso. Ci sono moltissimi loghi soprattutto commerciali estremamente conosciuti e ognuno di essi ha un significato più o meno nascosto. Già in passato le antiche casate nobiliari usavano mettere i simboli delle loro casate su bandiere, stemmi, stendardi e quando il popolo vedeva un simbolo piuttosto che un altro ne comprendeva immediatamente l’origine perché la nostra mente è abituata da sempre a questo procedimento. È innegabile che ognuno di noi, quando vede questi loghi, li riconosce immediatamente. Ma quali sono i loro significati e perché sono stati scelti? Il primo rappresenta il movimento olimpico e il secondo il movimento paralimpico. IL LOGO DEL MOVIMENTO OLIMPICO I cinque cerchi che campeggiano sulla bandiera olimpica sono graficamente 5 anelli intrecciati che rappresentano l’unione dei 5 continenti a cui sono associati i colori scelti da Pierre de Coubertin: blu, giallo, nero, verde, rosso. Fino al 1951 nel manuale olimpico era indicato che ad ogni colore corrispondeva un colore: nero l’Africa rosso l’America giallo l’Asia verde l’Europa blu l’Oceania ma questa associazione fra i colori e i continenti non compare più dal 1951. Accanto al più noto logo dell'olimpismo segnalo anche il marchio distintivo del CONI IL LOGO DEL MOVIMENTO PARALIMPICO Il simbolo del movimento paralimpico ha subito delle modificazioni rispetto a quello originario che rappresentava 5 pa coreani in una configurazione simile ai 5 cerchi olimpici Fu creato al momento della fondazione del Comitato Italiano Paralimpico, ma nel 1994 il Comitato Olimpico Internazionale, data la troppa somiglianza fra i loghi, chiese di modificarlo e ne fu creato uno con soli 3 pa: rosso, verde e blu che simboleggiano la mente, lo spirito e il corpo. Una nota romantica: viene chiamata la bandiera delle tre gocce. Nel 2003 fu nuovamente modificato e attualmente raffigura tre agitos (dal latino agire) in rosso, blu, verde (che sono i colori più utilizzati nelle bandiere di tutto il mondo). Questi loghi possono essere utilizzati liberamente? NO. Bisogna fare attenzione al loro uso in quanto, se non espressamente autorizzato, rappresenterebbe una violazione dei diritti relativamente al loro utilizzo. Esattamente come accade per i loghi del CONI e del CIP che rappresentano il CIO e l’IPC a livello nazionale. Spesso vediamo comunicazioni di incontri, format, convegni con i loghi usati indebitamente: Il diritto all’uso dei loghi segue dei regolamenti e se non si vogliono avere problemi è necessario leggerli e seguirli. REGOLAMENTO LOGO OLIMPICO E MARCHI CONI - CARTA OLIMPICA REGOLAMENTO LOGO PARALIMPISMO IL SIMBOLO La parola “simbolo” deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco συμβολον [symbolon] (segno). In greco antico, il termine simbolo (Σύμβολον) aveva il significato di “tessera di riconoscimento” o “tessera hospitalitas”, secondo l’usanza per cui due individui, due famiglie o anche due città, spezzavano una tessera, di solito di terracotta o un anello, e ne conservavano ognuno una delle due parti a conclusione di un accordo o di un’alleanza. Da qui anche il significato di “patto” o di “accordo” che il termine greco assume per traslato. Il perfetto combaciare delle due parti della tessera provava l’esistenza dell’accordo. Quindi il riconoscimento avveniva dopo il rincontrarsi delle due parti e dopo che entrambe avevano mostrato il proprio pezzo di coccio che combaciava con il corrispettivo dell’altra parte. CONSIGLI DI LETTURA Miti, sport e simboli politici. Per un'analisi sociologixa dei giochi olimpici (1896-1936) Simona Iannaccone - Ed. Bonanno Editore Biblioteca sportiva nazionale (presso il CONI)

  • È corretto retribuire equamente un lavoratore sportivo?

    di Katia Arrighi - Consulente del lavoro La domanda è retorica. La risposta è si, retribuire equamente un lavoratore sportivo è corretto. Cerchiamo insieme di comprendere il concetto di “giusta retribuzione”, spesso sfuggente a molti e non solo nell’ambito sportivo. Va da sé che vi sia, in generale, la predisposizione a pagar poco, a tentar di pagar poco e a mercanteggiare sul prezzo di ogni prestazione ricevuta, sia essa una prestazione d'opera manuale, la cessione di un bene o la prestazione di un servizio intellettuale. Queste ultime, poi, sono ancora più intrise del pensiero comune del “tanto è solo una informazione quindi siamo a posto così?”, perché, ed è innegabile, manca in molti il senso del rispetto del lavoro degli altri. Ma calandosi nel meraviglioso mondo sportivo anche in questo esiste il concetto di “equa retribuzione”. A fine 2023 sono state pubblicate dalla Corte di Cassazione 6 sentenze in merito proprio alla applicazione del principio di giusta retribuzione sancito dall’articolo 36 della Costituzione italiana che recita al comma 1: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Tutte le sentenze sono state pronunciate il 14 settembre 2023 ma depositate in differenti date e sono la n. 27711 .27713, .27769, 28320,28321, 28323. Secondo la Giurisprudenza precedente in caso di non pattuizione di una retribuzione è il giudice che deve pronunciarsi al riguardo secondo il contenuto dell’articolo 2099 comma 2 c.c. Questo accade in principale luogo al di fuori della applicazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro come può essere anche quello sportivo dove di solito il lavoratore non è tenuto a dimostrare l’insufficienza della sua retribuzione ma semplicemente deve rappresentare e dimostrare la qualità e la quantità della prestazione lavorativa svolta. Quantificare la giusta retribuzione è compito del giudice che ha come fari decisionali la proporzionalità della quantità e della qualità del lavoro eseguito e come criterio orientativo utilizzano i contratti collettivi più in linea con l’attività svolta ed esercitata nel concreto. Nella Costituzione è indicato, all’articolo 39 comma 4, che vi sia un obbligo di applicazione dei contratti sottoscritti: I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Ma questo non è mai avvenuto e vige ancora l’inapplicabilità erga omnes del trattamento economico stabilito in ogni singolo contratto. Quindi, se l’articolo 39 comma 4 è ancora inapplicato, quale è l’equa retribuzione indicata nell’articolo 36 Costituzione di cui il giudice deve tener conto? Si è soliti indicare a tal proposito che “si deve guardare ai contratti collettivi nazionali” come parametro e indicatore, non come obbligo ingenerando cosi una sorta di corto circuito del sistema perché, nel momento in cui il giudice prendesse a riferimento i contratti collettivi nazionali e li applicasse alle parti non firmatarie, ci si potrebbe porre il problema se stia facendo bene o male. Per un giudice il contratto collettivo nazionale assume una natura meramente orientativa e non anche vincolante perché la giurisprudenza ha affermato che la determinazione giudiziale della retribuzione nei confronti di un non iscritto non comporta in automatico l’estensione della efficacia del contratto stesso nei suoi confronti, altrimenti sarebbe violazione articolo 39 comma 4 Costituzione. È la natura costitutiva della sentenza ad acquistare valenza non la mera applicazione contrattuale. Sul punto intervengono le sentenze sopracitate che indicano espressamente come il giudice debba effettuare una valutazione coerente e funzionale allo scopo, rispettando i criteri della sufficienza e della proporzionalità facendo riferimento anche a una Direttiva Europea sui salari minimi che dispone che oltre alla necessità del cibo, dell’alloggio e del vestiario si deve tenere conto anche delle attività connesse con la cultura, l’educazione e il sociale al fine di determinare l’equo compenso. Ci si spinge un po’ più in là quando si afferma che la violazione dell’articolo 36 della Costituzione è ravvisabile anche quando le retribuzioni son pienamente rispettate ma per qualità e quantità peculiari c’è una differenziazione con la regolamentazione collettiva dimostrando quando essa sia insufficiente. (sent. Cass. n. 2302/1979, n.1255/1976 e n. 2380/1972.) Non è neppure facile conoscere tutti i contratti collettivi nazionali e ogni singolo contenuto in essi racchiuso. Al CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) ne sono depositati circa 950 nel settore privato e solo un quinto di loro sono stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Vi è al loro interno una disparità di retribuzioni a parità di lavoro non marginale con un tentativo di concorrenza salariale al ribasso, ingenerando di fatto il concetto di “povertà  nonostante il lavoro” dovuta in particolare modo al gran numero di contratti all’interno della medesima contrattazione collettiva  perché la Corte evidenzia che la determinazione di un livello salariale minimo non è comunque esente dal giudizio di congruità dell'art. 36, perché la nostra Costituzione ha accolto una nozione di remunerazione della prestazione come retribuzione sufficiente e adeguata ad assicurare un tenore di vita dignitoso e non interamente  rimessa alla autodeterminazione delle parti individuali dei contratti collettivi. L’intervento del giudice sarà ovviamente più incisivo tanto meno lo sarà l’intervento del legislatore e nel caso dello sport questo rischio c’è, soprattutto in tema di collaborazioni coordinate e continuative per le quali solo un contratto collettivo ha stabilito dei minimi salariali orari. Nei prossimi mesi, con molta probabilità, assisteremo a un novello proliferare di contratti collettivi la cui esistenza è assolutamente garantita nel rispetto della Costituzione e della libertà sindacale espressamente prevista dal medesimo articolo 39 ma al comma 1, seppure ingenerando una ulteriore complicazione nel settore. Sarebbe auspicabile che in futuro i contratti collettivi tenessero ad esempio conto delle differenze regionali sul costo della vita quando si parla di salario minimo in un settore , favorendo di fatto anche una libertà sindacale  più incisiva di quelli che sono gli obiettivi che si possono raggiungere attraverso migliori condizioni di vita e di lavoro perché è innegabile che la giusta retribuzione ha chiusa in sé la necessità di adempiere al dettato costituzionale ma anche quella di considerare importante il reale andamento del mercato.

  • Il ruolo (dimenticato) del consigliere associativo: tra compensi e gratuità della carica.

    Di Paolo Rendina - Avvocato tributarista Lo scorso 1 febbraio 2024 il CONI ha diramato una nota con la quale ha comunica che il Ministro per lo Sport e i Giovani Dott. Andrea Abodi, nel corso delle interlocuzioni fra le parti, ha confermato che: i membri del consiglio direttivo, pur svolgendo gratuitamente il mandato loro conferito dall'assemblea dei soci, non rientrano nella categoria dei volontari e, pertanto, non si ravvisano in tali casi le incompatibilità di cui all'art. 29, comma 3, del d.lgs 28 febbraio 2021, n. 36. qualora però i membri del Consiglio Direttivo oltre a svolgere il mandato di presidente o consigliere, svolgano per la propria asd/ssd anche attività di volontariato sportivo, solo in tali casi non potranno svolgere alcun incarico di lavoro sportivo per la medesima asd/ssd. Possiamo dire "chiusa" la questione sulll'incompatibilità? Diciamo di si, anche se, a dire il vero, pochi erano i dubbi sull'interpretazione della norma. In ogni caso, se da un lato abbiamo tutti accolto con un sospiro di sollievo la nota del CONI, d'altro rimaniamo ancora parecchio perplessi su altre questioni e, più in particolare, su come poter inquadrare i compensi dei membri del Consiglio Direttivo. Partiamo da una "semplice" domanda: I MEMBRI DEL DIRETTIVO POSSONO ESSERE (anche) LAVORATORI "SPORTIVI" ? Preso atto che l'incarico di consigliere, seppur svolto a titolo gratuito, non presuppone l'automatica acquisizione anche del titolo di "volontario sportivo" (con le relative incompatibilità), la domanda rimane ancora una di quelle che rimbalzano nel web, e la risposta, oggetto di interventi normativi, interpretazioni e animati dibattiti. Ormai sembra scontato parlare di "incarichi e compensi" ma non tutti forse ricordano che il comma 18 dell’art. 90 L.289/02 prevedeva che negli statuti fosse obbligatoriamente indicata la gratuità delle cariche sociali. Clausola poi superata dal D.L. 72/2004. Sino all'entrata in vigore della Riforma dello Sport, il Presidente e, più in generale, i componenti del direttivo, potevano quindi percepire degli emolumenti che, solitamente, venivano corrisposti ai sensi dall’art. 67 co.1 lett.m) T.U.I.R. (fra tutti i rimborsi forfetari e compensi). L'operazione era però possibile solo e se venivano rispettati i requisiti richiesti dalla norma agevolativa e, quindi, a condizione che i componenti retribuiti svolgessero a favore e su incarico del sodalizio le seguenti attività: esercizio diretto delle attività sportive dilettantistiche, riconducibili alla prestazione sportiva c.d. pura (istruttori, allenatori, tecnici, dirigenti accompagnatori, assistenti, ausiliari a vario titolo, giudici di gara ecc.) nelle discipline riconosciute dal Coni che rientrano nell’elenco di quelle ammissibili al Registro; co.co.co. amministrativo gestionali caratterizzate, come precisato dalla Circolare dell’ Agenzia delle Entrate 22/4/2003 n.21, dalla continuità nel tempo, coordinazione, inserimento nell’organizzazione del committente, assenza del vincolo di subordinazione e assenza di conoscenze tecnico giuridiche collegate all’attività di lavoro autonomo esercitata abitualmente; le mansioni e i compiti tipici sono quelli di segreteria come la  raccolta delle iscrizioni, la tenuta della cassa e della contabilità da parte di soggetto non professionista. Fino alla Riforma, pertanto, "si è sempre fatto così" ... anche se, lo ribadiamo, all'interno dell'ente sportivo ben potevamo prevedere di inquadrare il Consigliete (Presidente incluso) come un qualsiasi "lavoratore" ai sensi della normativa giuslavoristica del mondo profit. La questione sulla possibilità o meno per un membro del consiglio direttivo di percepire compensi era tornata a far parlare di sè prima delle festività natalizie a seguito di alcune articolate richieste, inviate dal CONI al Ministero, per avere chiarimenti su alcuni aspetti della Riforma dello Sport ritenuti ancora "critici" per il mondo sportivo. La risposta del Dipartimento per lo sport, pur non facendosi tardare, quanto ai chierimenti richiesti specificatamente sull'art. 29, comma 3, d.lgs. 36/2021 (e quindi sull'incompatibilità del volontario) ha fatto intendere ai più che il ruolo di Consgilere o Presidente di una asd/ssd, SE svolto a titolo gratuito, fosse incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente. Art. 29, comma 3 D.LGS 36/2021 "Le prestazioni sportive di volontariato sono incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva." Leggendo un estratto della nota ministeriale però si leggeva: Nota ministeriale n. 2830 del 4 dicembre 2023 " (...) “ha operato una chiara scelta nel distinguere coloro che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità al fine di promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e soprattutto gratuito, da coloro che, al contrario, prestano la propria attività lavorativa con continuità e a fronte di un corrispettivo. La norma non fa eccezione per i membri dei consigli direttivi degli enti sportivi che quindi, se volontari, anche al fine di prevenire eventuali ‘conflitti’ di interessi, non possono instaurare rapporti di lavoro con l’ente di cui è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva”. (...)" Da una lettura combinata anche con le norme del Codice del Terzo Settore (da cui la Riforma dello Sport ha preso spunto proprio per inserire la nuova figura del "volontario sportivo") il recente chiarimento ha quindi confermato, in mancanza di una formalizzazione del rapporto di volontariato, la COMPATIBILITA' tra "LAVORO RETRIBUITO" e "RUOLO A TITOLO GRATUITO" dei membri del Consiglio Direttivo (Presidente incluso). MA .... NON SIAMO TUTTI ISTRUTTORI (retribuiti) La risposta del Ministero non dirime (ancora) un punto che, a mio avviso, è di cruciale importanza: se anche il mandato possa o meno qualificarsi come lavoro sportivo e, in particolare, se le attività proprie svolte solitamente da un membro del consiglio direttivo, tra quelle "codificate" come lavoro sportivo (ai sensi dell'Art. 25 del d.lgs 36/2021). Al momento la risposta è negativa. A supporto di questa incompatibilità faccio mie le conclusioni alle quali era pervenuto anche il compianto Avv. Guido Martinelli allorquando scriveva "credo si possa sostenere che si sia voluta agevolare la prestazione del “lavoratore” in campo (atleta, tecnico, dirigente accompagnatore etc.) e del “lavoratore” in segreteria inteso come quel soggetto che si occupa della parte gestionale del sodalizio sportivo da un punto di vista amministrativo." (cfr. EcNews Febbraio 2023). E se volessi dare una mano "in campo" gratuitamente ma richiedere un compenso per quella "in ufficio" come Consigliere? L'età media dei Consigli Direttivi mi fa propendere nel ritenere che siano poche le possibilità di vedere un Consigliere fare anche l'allenatore o l'istruttore e, in ogni caso, la questione non cambierebbe: potrei percepire compensi "sportivi" ma non per l'attività resa in funzione della carica di "consigliere" o "presidente". Il legislatore, per quanto mi risulta, non ha preso per nulla in considerazione il ruolo svolto dai membri del Consiglio Direttivo (Presidente incluso) e, in particolare, il diritto a vedersi remunerate - a parità di agevolazioni con gli altri "lavoratori sportivi" - le attività che sono chiamati a svolgere con il mandato ricevuto ai sensi dello statuto e che, voglio ricordare anche a me stesso, prevedono (oltretutto) un carico di responsabilità non indifferente. Proviamo ad immaginarci alcune di queste attvità "tipiche": la partecipazione ai Consigli Direttivi, l'approvazione dei nuovi Soci, la scelta dell'Ente Affiliante, la delibera di approvazione del bilancio da sottoporre all'Assemblea, la sottoscrizione di contratti ... e, più in generale, tutto quello che riguarda l'assunzione di decisioni in nome e per conto dell'Ente Sportivo. In definitiva non mi pare che le prestazioni appena elencate siano pienamente calzanti con quelle ritenute "proprie" del lavoratore sportivo "in campo" . Il Presidente o un membro del Consiglio potrà quindi essere ANCHE un atleta, allenatore, istruttore, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico, direttore di gara ma per quel che fa, o per il ruolo che è chiamato a svolgere, nessuno, sino ad ora, ha pensato ad un preciso inquadramento. DIRETTORE SPORTIVO, AMMINISTRATIVO GESTIONALE O COSA ? All''art. 2 del d.lgs 36/2021 ci vengono offerte alcune definizioni dei quelle figure che possono qualificarsi come "lavoratori sportivi": o) direttore di gara: il soggetto che, osservando i principi di terzietà, imparzialità e indipendenza di giudizio, svolge, per conto delle competenti Federazioni Sportive Nazionali, Discipline Sportive Associate ed Enti di Promozione Sportiva, attività volte a garantire la regolarità dello svolgimento delle competizioni sportive; p) direttore sportivo: il soggetto che cura l'assetto organizzativo e amministrativo di una società sportiva, con particolare riferimento alla gestione dei rapporti fra società, atleti e allenatori, nonché la conduzione di trattative con altre società sportive aventi ad oggetto il trasferimento di atleti, la stipulazione delle cessioni dei contratti e il tesseramento; q) direttore Tecnico: il soggetto che cura l'attività concernente l'individuazione degli indirizzi tecnici di una società sportiva, sovraintendendo alla loro attuazione e coordinando le attività degli allenatori a cui è affidata la conduzione tecnica delle squadre della società sportiva; Forse la figura che maggiormente si potrebbe avvicinare a quella di un membro del consiglio direttivo è quella del Direttore Sportivo ... ma .... Le attività tipiche di un membro del Consiglio Direttivo possono qualificarlo come Direttore Sportivo? Può essere assimilato a un DS il membro di un Consiglio Direttivo Federale, di un EPS o di una ASD? Al riguardo ho già avuto modo di esprimere le mie perplessità. Certamente un membro del Consiglio Direttivo potrebbe essere chiamato a svolgere tale ruolo. Accade soprattutto nelle piccole realtà, ma, in ogni caso, le sue attività non potranno esaurirsi nella gestione dei rapporti fra società, atleti e allenatori. Qualche tempo fa, invece, mi venne fatto notare che la figura del Consigliere/Presidente, anche alla luce della predetta Circolare del 2003 dell'Agenzia delle Entrate, ben poteva essere inquadrata come collaboratozione amministrativo gestionale. Nonostante con questo inquadramento si possano avere dei risolvi positivi in quanto, come noto, anche a questa particolare titologia di lavoratore vengono attribuite le medesime agvolazioni previste per il lavoratore sportivo, a mio avviso, questa tesi non è convincente: chi coordina il collaboratore? Ma, soprattutto, sappiamo che rientra in tale figura esclusivamente chi è addetto alla segreteria, al tesseramento e alla contabilità. Ancora una volta non verrei retribuito per la "carica" di Consigliere ma per delle attività "altre" svolte in favore del sodalizio. Ma non solo. Se "passasse" questa tesi, ovvero la presunzione di collaborazione amministrativo gestionale per il Consigliere retribuito, dovremmo anche prestare attenzione al fatto che non possono usufruire di tali tipologie di rapporti coloro che forniscono attività di carattere amministrativo-gestionale nell’ambito di una professione per il cui esercizio occorre essere iscritti in appositi albi professionali. Un avvocato, commercialista, consulente del lavoro potrebbero assumere l'incarico di consigliere o presidente in associazione se retribuiti per quel ruolo? (ovviamente qui e ora non ci soffermeremo ulle incompatibilità degli appartenenti agli ordini professionali). Ecco, allora, che forse sarebbe il caso che venisse approvato in tempi rapidissimi quell'elenco delle mansioni sportive non riconducibili alle sette figure di lavoratori tipizzate dalla riforma dello sport come previsto dall'Art. 25 del D.lgs 36/2021 che prevede possa essere qualificato come "lavoratore sportivo" "ogni altro tesserato, ai sensi dell'articolo 15, che svolge verso un corrispettivo a favore dei soggetti di cui al primo periodo le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti tecnici della singola disciplina sportiva, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale." Facendo sempre attenzione all'emolumento ricevuto, che non dovrà in nessun caso constituire distribuzione diretta (o indiretta di utili), la buona notizia potrebbe essere proprio quella di vedere nel mansionario anche il ruolo di membro del Consiglio Direttivo (Presidente incluso) e che, per l'effetto, si possa così instaurare un rapporto nelle forme del lavoro sportivo con il proprio ente. Pur rimanendo assolutamente legittimo instaurare un rapporto di lavoro secondo le normali regole giuslavoristiche, si potrebbe continuare a prevedere di riconoscere al Consigliere anche solo una c.d. "indennità di carica" inquadrata, però, quale reddito assimilato a quelli di lavoro dipendente ex art. 50, co. 1, lett. g), Tuir (c.d. cariche elettive). Converrete con me che però sarebbe un vero peccato escludere dalle agevolazioni riservate al lavoratore sportivo chi, quotidianamente, si dedica alla "gestione" dello sport e al coordinamento delle attività senza necessariamente dover dire o dimostrare di essere stato "in campo".

  • Lo sport e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS e RLST)

    Di Lavinia Legnani - LR Consulting Alla luce della riforma dello sport una delle domande che mi stanno ponendo più sovente è se sia o meno obbligatorio nominare un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) all’interno dell'associazione. Innazitutto chiariamo chi è il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Ai sensi dell’art 2 comma 1 lettera i) del Testo Unico - D.Lgs 81/08 viene definito come la "persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”. Egli si assicura, dunque, che nell’azienda o nell’unità produttiva vengano rispettate le norme stabilite dal Testo Unico sulla Sicurezza e la sua presenza è obbligatoria per tutte le aziende con almeno un lavoratore e, a seconda delle dimensioni dell’impresa, vi può essere più di un rappresentante. Il numero dei rappresentanti va di norma stabilito attraverso una contrattazione collettiva, ma in ogni caso, la Legge prestabilisce il numero minimo di Rappresentanti per la Sicurezza che ogni azienda deve avere in rapporto al numero di dipendenti: 1 RLS per le aziende con meno di 200 lavoratori 3 RLS per le aziende che contano da 201 a 1000 lavoratori 6 RLS per le aziende con più di 1000 dipendenti. Deve frequentare un apposito corso di formazione obbligatorio con seguente aggiornamento. Accanto alla figura del RLS troviamo poi quella del RLST (Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale) normato agli articoli 47, comma 3 e 48 del D.Lgs 81/08. Il RLST esercita le competenze del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) con riferimento a tutte le aziende o unità produttive del territorio o del comparto di competenza (in questo caso sport) nelle quali non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza perché non è stato possibile individuare una figura da candidare all’interno dell’organizzazione. Si tratta pertanto di una figura esterna "attività e attribuita dall'associazione di categoria bilaterale che rappresenta l'Ente (a seconda del tipo di contratto che applica), che rappresenta direttamente i lavoratori nei confronti dell’impresa in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ed il cui compito è quello di contribuire a realizzare un’effettiva prevenzione dei rischi secondo quanto disposto dall’art. 48 D.Lgs. n. 81/2008. Il D.Lgs. n. 81/2008 specifica che le modalità di elezione o designazione del RLST sono individuate dagli accordi collettivi nazionali, interconfederali o di categoria, stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. QUINDI RLS e RLST devono essere nominati in associazione ? E Quando ? A questa domanda non può che rispondere che sia il R.L.S. che il R.L.S.T. sono figure obbligatorie in presenza di lavoro subordinato od equiparato ad esso. DI SEGUITO ALCUNE CONSIDERAZIONI E PROPOSTE OPERATIVE A parere di chi scrive, anche su base dell’esperienza quotidiana che vivo nel “mondo della sicurezza” per le Imprese profit, per quanto attiene il mondo del non profit in generale e dell’Associazionismo sportivo in particolare, vedo più funzionale ed attuabile la figura del RLST piuttosto che quella di un RLS interno di ogni singola associazione. Sarebbe inoltre necessario inoltre un interpello, da parte degli Organismi Affilianti, sulla falsa riga del n° 17 del 06/10/2014, in cui si interveniva sulla possibilità di istituzione di RLS anche a livello dell’insieme di aziende facenti riferimento ad un gruppo e non esclusivamente alla singola azienda (nel nostro caso Associazione). Pertanto si potrebbe richiedere un parere della Commissione in merito alla possibilità di prevedere nell'ambito degli accordi sindacali di settore in tema di Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS): l'istituzione di RLS anche a livello dell'insieme delle associazioni facenti riferimento ad un Organismo affiliante e non esclusivamente alla singola associazione; che i rappresentanti cosi istituiti siano legittimati ad esercitare tutte le prerogative e attribuzioni che il D.Lgs. n. 81 del 2008 s.m.i. riconosce agli RLS nell'ambito delle Associazioni dell’ Organismo affiliante individuato, quindi anche per quelle Associazioni che, soprattutto a causa delle ridotte dimensioni, potrebbero rimanere prive di una propria specifica rappresentanza. Va inoltre sottolineato che il parere della Commissione Interpelli, in riferimento all’interpello del 2014, diede merito che la figura del RLS di gruppo fosse compatibile "con il vigente quadro normativo di riferimento”. Forse, pertanto, sarebbe il caso di attivarsi in tal senso.

  • Le scadenze del 16 e 29 febbraio nello sport: il ruolo dell’INAIL

    A cura di Alessandra Bulgheroni Consulente del Lavoro Contributo INAIL: a cosa serve? perché deve essere versato? Come si calcola? Da sempre gli sportivi hanno avuto copertura assicurativa a tutela dei rischi derivanti dalla propria attività ma ora con l’avvento della regolamentazione del lavoro sportivo si assiste alla messa in conoscenza del mondo sportivo di un Istituto già presente nel mondo del lavoro ordinario: l’Inail, nato addirittura nel 1933. Le collaborazioni coordinate e continuative del mondo sportivo erano considerate escluse dall’ambito INAIL a seguito di una precisa circolare al riguardo risalente al 2004 che indicava l’esclusione dalla applicazione della disciplina relativa alle collaborazioni coloro i quali prestavano collaborazioni in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni, alle Discipline associate e agli enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI La riforma conferma di fatto questa esclusione nel momento in cui stabilisce che nessun collaboratore coordinato e continuativo deve essere soggetto a iscrizione INAIL. Diversamente viene prevista per gli amministrativo-gestionali che, di fatto, non sono lavoratori sportivi ma lavoratori che lavorano nello sport. Ed è per loro che si parla di AUTOLIQUIDAZIONE e copertura INAIL che andiamo insieme ad analizzare. L’articolo 37 del D.Lgs 36/2021 dispone che le attività di carattere amministrativo gestionale possono formare oggetto di rapporti e contratti di collaborazione coordinata e continuativa e abbiano necessità di una copertura Inail non essendo lavoratori sportivi. Come risaputo tali rapporti hanno ad oggetto: svolgimento dell’attività amministrativo gestionale si concretizzano in prestazioni d’opera coordinate e continuative prevalentemente personali e con organizzazione autonoma della attività l’attività è resa a favore di società e associazioni riconosciute dal Coni e dal Cip il collaboratore o la collaboratrice non sono iscritti a nessun Albo professionale. CALCOLO E SCADENZE Al riguardo importante quanto indicato nella CIRCOLARE 46/2023 che, in tema di riferimenti tariffari per le collaborazioni amministrativo-gestionali, recita: L’attività di carattere amministrativo-gestionale svolta dai titolari di collaborazioni coordinate e continuative di cui all’articolo 37, commi 1 e 2, del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, consiste nell’attività d’ufficio, che è classificata alla voce 0722 della gestione Industria delle Tariffe dei premi approvate con il decreto interministeriale 27 febbraio 2019, con tasso medio del 5,00‰. Si ricorda che la voce di tariffa 0722 comprende anche l’eventuale uso del veicolo personalmente condotto per l’accesso ad altri uffici. AUTOLIQUIDAZIONE INAIL Due sono i termini da segnare in agenda: il16 febbraio 2024 :  per il versamento del premio di autoliquidazione in unica soluzione o della prima rata in caso di pagamento rateale; il 29 febbraio 2024: per la presentazione delle dichiarazioni delle retribuzioni effettivamente corrisposte per il periodo dal 1 di luglio al 31 dicembre 2023, da presentare entro il 29 febbraio 2024. Il sito per autoliquidazione: www.inail.it

  • Nuovo Regolamento sulla tenuta, conservazione e gestione del Registro Nazionale delle attività sportive dilettantistiche

    Nel podcast dell'Accademia dei Consulenti dello Sport l'Avv. Paolo Rendina analizza il nuovo regolamento sulla tenuta, conservazione e gestione del Registro Nazionale delle attività sportive dilettantistiche pubblicato lo scorso 29 gennaio 2024. Trascriviamo di seguito la dichiarazione del Dott. Andrea Abodi - Ministro per lo Sport e i Giovani “Con la pubblicazione odierna del nuovo “Regolamento sulla tenuta, conservazione e gestione del Registro Nazionale delle attività sportive dilettantistiche“, frutto di un prezioso lavoro di squadra coordinato dal nostro Dipartimento per lo Sport in collaborazione con Sport e Salute S.p.A., è stato raggiunto un grande risultato nell’interesse di tutti gli organismi sportivi e degli enti sportivi dilettantistici. Grazie alle nuove procedure messe in campo, sarà possibile consentire l’iscrizione al Registro, unico ai sensi di legge, anche agli enti che svolgono attività sportive non riconosciute dal Coni e dal Cip, nonché, per le associazioni sportive dilettantistiche, ottenere il riconoscimento della personalità giuridica“. ⬇️ se sei abbonato continua ⬇️ A cura dell'Avv. Paolo Rendina Pubblicato sulla piattaforma del Registro Nazionale delle Attività sportive dilettantistiche il nuovo “Regolamento sulla tenuta, conservazione e gestione del Registro Nazionale delle attività sportive dilettantistiche”. Tra le principali novità: individuazione della procedura per il riconoscimento da parte del Dipartimento per lo Sport della natura sportiva delle attività non rientranti tra quelle svolte nell’ambito degli Organismi Sportivi riconosciuti dal Coni o dal Cip (art. 6, comma 2); definizione della procedura per il riconoscimento della personalità giuridica per le Associazioni sportive dilettantistiche (art. 11); Ringraziamo per il Jingle Giorgia Graziano: Attrice, ricercatrice, autrice e formatrice teatrale con laurea Dams a Bologna ha diverse esperienze lavorative all'estero. Educatrice, attualmente iscritta alla laurea magistrale in scienze pedagogiche, è impegnata in percorsi di studi perfezionamento nell'ambito corpo - danza (laban bartenieff). Vive felice in provincia di Como. Contatto : giorgiagraziano@hotmail.com Podcast dell’Accademia dello Sport e del Terzo Settore. Vietata ogni riproduzione non autorizzata.

  • Tra buio e ombre. Riflessioni del Dott. Celestino Bottoni sulla fiscalità associativa

    Di Celestino Bottoni - Presidente A.N.CO.T. La fiscalità è una variabile molto importante per chi deve pianificare un progetto di medio o lungo periodo. Non a caso, tra le tante riforme del PNRR, vi è anche quella del fisco che sta prendendo vita con quella che viene già definita la “riforma LEO”. Il nuovo anno è iniziato, ma senza le risposte che si attendevano già da tempo. Partendo dalla riforma del terzo settore, che sicuramente ha avuto il merito di razionalizzare le tante norme presenti nel settore, ancora si è in attesa dell’autorizzazione da parte della Commissione EU sul “Regime fiscale degli Enti del Terzo settore”, titolo X del codice del Terzo Settore. Sul punto si ricorda che le ASD possono iscriversi anche al RUNTS, invece  rimangono dei dubbi per le SSD, che dovrebbero essere ricondotte alle imprese sociali, d.lgs. 112/12. Si ricorderà come già nel precedente Governo Draghi, il Ministro del lavoro Andrea Orlando, dichiarò di aver dato inizio alla consultazione con la Commissione UE, ma nulla è ancora dato sapere! Nell’attesa di detta autorizzazione,  il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha precisato che dal primo di gennaio 2024, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione “possono” avvalersi del regime forfettario, già in essere per i contribuenti minimi, ma fino a un volume d’affari di euro 65.000.  Inoltre, non è stato precisato quale sia il coefficiente di reddittività, quindi risulterebbe imponibile il 100% dei proventi. Tale limite, per detto regime, è oggi fissato a euro 85.000 con una tolleranza massima fino ad  euro 100.000. Per la determinazione del reddito degli enti non commerciali, rimane vigente e riconfermato, anche il regime forfetario, di cui alla legge 398/91, con l’applicazione però dell’iva. Anche se oggi è già possibile applicare l’esenzione dall’Iva, ai sensi dell’art. 10 del DPR 633/72 per “le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche alle persone che esercitano lo sport o l'educazione fisica”. Quindi, da una lettura letterale della norma sembrerebbero escluse le società sportive dilettantistiche, ma vigendo ancora il primo comma dell’art. 90, della Legge 289/90, che assimila le SSD alle ASD per tutto quello che concerne la norma fiscale/tributaria, il problema non dovrebbe sussistere. Nel mentre, già si discute della rivoluzione che dovrebbe partire il prossimo primo luglio con la riscrittura dell’articolo 4 del medesimo DPR 633/72. Viene già previsto,  con decorrenza dal primo luglio, la riscrittura dell’attuale articolo 4 del DPR n. 633/72 nell’articolo 10, revisionato, del medesimo DPR. Questo, per sanare una vecchissima infrazione comunitaria. La norma novellata stabilisce che saranno ricomprese tra le cessioni effettuate nell’esercizio di imprese, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Nella nuova formulazione dell’art. 10 vi rientrerebbero anche quelle prestazioni - escluse dal testo originario dell’articolo 4, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972 - effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali. Se venisse confermata tale modifica si renderebbe necessaria l’apertura della partita iva. In tal caso, si ricorda che vige già  la “dispensa da operazioni per le operazioni esenti”, ai sensi dell’art. 36 bis del già citato DPR  633/72. Rimane da capire come si potrà applicare detta dispensa in presenza anche di operazioni IVA imponibili. Una soluzione potrebbe essere la tenuta di contabilità separate, ai soli fini iva. Ci sono tutti gli elementi per un corto circuito o per un anno sabbatico per chi volesse pianificare un progetto nel corso del presente anno a causa dell’incertezza della norma fiscale. E’ auspicabile, quindi, un intervento risolutore e chiarificatore. Nel mentre, su indicazione del viceministro dell’Economia e delle Finanze, Prof. Maurizio Leo, è stato costituito un tavolo specifico con il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, dedicato alla fiscalità e al Terzo settore, all’interno del quale uno dei temi principali è proprio la notifica delle disposizioni fiscali alla Commissione Europea. Infine, tra i tanti decreti attuativi attesi dalla riforma dello Sport si rimane in attesa della pubblicazione del decreto attuativo  sulle attività secondarie, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 36/2021, nonché del decreto IVA previsto dalla stessa riforma fiscale. Sperando che il tutto venga spostato al prossimo anno, sarebbe utile ricevere dai prossimi decreti una norma stabile e chiara per iniziare a pianificare per tempo il 2025 !

  • Libro unico del lavoro, tra rinvii, adempimenti e decreti mancanti

    Di Katia Arrighi  Consulente del Lavoro In queste settimabne abbiamo ricevuto moltissime richieste in merito al termine del 30 gennaio entro cui, come previsto anche dal correttivo bis della Riforma dello Sport, si sarebbero dovute effettuare le registrazioni di aggiornamento del Libro Unico del Lavoro relativamente alle collaborazioni sportive instaurate dal 1° luglio al 31 dicembre 2023. Dalle segnalazioni, miste fra panico e ansia, ci siamo resi conto che in molti non hanno letto quanto recitava (e recita) la normativa di riferimento. Più precisamente nella parte in cui recita: Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o dell'Autorità politica delegata in materia di sport, adottato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il 1° luglio 2023, sono individuate le disposizioni tecniche e i protocolli informatici necessari a consentire gli adempimenti previsti al comma 3 ed entro il 31 dicembre 2023 quelli necessari a consentire gli adempimenti previsti al comma 4. (Art. 28 co. 5 d.lg 36/2021) Per noi era, ed è chiaro: il D.p.c.m. non è ancora stato emesso. Pertanto mancano ancora le specifiche tecniche che possano consentire gli adempimenti previsti al riguardo. Un consulente del lavoro sa cosa è un Lul e così mentre molti si sono visti contretti ad attivarsi in autonomia entro la scadenza, altri hanno atteso l'emanazione del Decreto. Ecco allora che come prevedibile l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, in mancanza del Decreto attuativo è intevenuta con propria Circolare 1/24 chiarendo che (...) così come condiviso dallo stesso Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (nota prot. n. 931 del 30 gennaio 2024) – il termine di iscrizione sul LUL, indicato in “trenta giorni dalla fine di ciascun anno di riferimento” (e cioè entro il 30 gennaio 2024 per le collaborazioni intrattenute nel 2023), non può evidentemente trovare applicazione, atteso che l’introduzione dello stesso termine presupponeva l’emanazione del citato D.P.C.M. entro il 31 dicembre 2023. (...) Lo abbiamo ripetuto più volte e questa è un ulteriore motivo di riflessione: non improvvisiamoci consulenti del lavoro o commercialisti o tributaristi o rischiamo di causare un grosso danno alla nostra associazione, come danni li fa il consulente del lavoro, il commercialista o il tributarista che si mette, privo di competenze tecniche ad insegnare zumba, piuttosto che pilates o yoga solo perché ha visto un tutorial su you tube. Adesso non ci resta che attendere il Decreto attuativo e l'indicazione delle nuove scadenze. Senza panico o ansia.

  • Fallo o fellone? Il risarcimento del danno in allenamento.

    A cura di Daniele Lunardi - RDL - Avvocato in Torino Nel corso di un allenamento, il comportamento scorretto o la violazione delle regole di gioco possono essere fonte di responsabilità ? Massima di diritto - Sentenza Cass. Civ. n. 4707 del 15.02.2023 Nello sport caratterizzato dal contatto fisico e dall'uso di una quota di violenza la violazione nel corso di attività di allenamento di una regola del regolamento sportivo non costituisce di per sé illecito civile in mancanza di altre circostanze rilevanti ai fini del carattere ingiustificato dell'azione dell'atleta. Spesso ci viene chiesto quando una lesione subita nel corso dell'attività sportiva possa o meno costituire, oltre che "illecito sportivo", anche illecito civile se non addirittura penale e soprattutto, se il danneggiato, ha diritto ad un qualche risarcimento. Non entrando qui ed ora nella "spinosa" questione delle assicurazioni (tanto quelle relative agli infortuni quanto quelle per responsabilità civile) qui ci soffermiamo sulla massima di principio espressa dalla Corte di Cassazione in tema di infortunio sportivo e, nello specifico, del danno subito nel corso di un allenamento. I FATTI: Nel corso dell'attività di sparring (combattimento leggero con lieve contatto a coppie) un tesserato subiva un colpo "basso" ai genitali che lo costringeva a subire l'asportazione del testicolo sinistro. Il danneggiato proponeva quindi domanda di risarcimento dl danno subito citando in giudizio: l'altro tesserato (danneggiante che lo aveva colpito) la società sportiva dilettantistica presso la quale entrambi erano tesserati; La domanda di risarcimento veniva respinta tanto in primo quanto in secondo grado. Ma per quale motifvo? I Giudici, in estrema sintesi, hanno concluso asserendo che i falli commessi durante lo svolgimento di un'attività sportiva godono della copertura della relativa scriminante se ed in quanto frutto di condotte colpose e funzionali al gioco. Che, detta diversamente, si può inizialmente tradurre più o meno cosi: ogni qualvolta intraprendi un'attività sportiva ti assumi il rischio che lo svolgimento di tale attività, anche per cause meramente accidentali, possa cagionarti un danno. A maggior ragione se tale attività prevede contatto fisico o è connotata da una naturale animosità. Per semplificare ancora di più: non è automatico che il danno subito ti possa essere risarcito dovendo considerare tutta una serie di elementi. Infatti nel corso del giudizio veniva appurato, anche mediante le notizie fornite dal sito ufficiale della Federazione di riferimento, che la disciplina praticata dai sue protagonisti della vicenda: prevedeva il contatto fisico più completo che esista; veniva definita come la più efficace per la difesa personale. E, pertanto, non proprio assimilabile ad una partita a bocce... Da qui la decisione che il calcio inferto al danneggiato, essendo gesto atletico connaturato al detto tipo di disciplina sportiva, costituisse un fallo in necessario collegamento funzionale con il modello sportivo di riferimento. Inoltre. costituendo la suddetta arte marziale una disciplina comunemente volta ad abbattere e placcare fisicamente l'avversario, attraverso l'uso di pugni e calci, la condotta del danneggiante, benchè abbia integrato un illecito sportivo, per avere offeso i genitali di un altro atleta, e benchè sia stato caratterizzato da violenza, non potrevs dar luogo a risarcimento in quanto di grado non incompatibile con le caratteristiche altrettanto violente della disciplina. LA DECISIONE Con la Sentenza n. 4707 del 15.02.2023 la Suprema Corte, chiamata a decidere in terza ed ultima istanza, in pratica ha confermato le conclusioni dei precedendi gradi di giudizio chiarendo, definitivamente, che in tema di differenziazione dell'illecito sportivo da quello civilistico - non può il mero dato dell'allenamento, in mancanza di altre circostanze qualificanti, deporre nel senso del carattere sproporzionato dell'uso della violenza nel singolo episodio. ALLENAMENTO E RESPONSABILITA' Il fatto che si trattasse di allenamento, notoriamente privo dell'ardore agonistico, non può essere considerato come fatto legittimante il risarcimento a prescindere. Infatti il fatto che l'evento lesivo sia avvenuto in allenamento non rende privo di giustificazione l'episodio di mera violazione della regola del gioco. Bisogna quindi che sussistano altri profili caratterizzanti l'evento e caratteristiche ulteriori rispetto al mero fatto dell'allenamento. Dunque, nello sport caratterizzato dal contatto fisico e dall'uso di una quota di violenza (questo il termine utilizzato in sentenza), la violazione nel corso di un mero allenamento di una regola del regolamento sportivo non costituisce di per sé illecito civile in mancanza di altre circostanze rilevanti ai fini del carattere ingiustificato dell'azione dell'atleta. Come affermato anche dalla giurisprudenza penale, che è quella che più diffusamente ha trattato il tema del rapporto fra illecito sportivo ed illecito giuridicamente rilevante (nella specie penale), nella valutazione della colpa sportiva centrale è "l'analisi della situazione di fatto in rapporto al contesto e allo sviluppo dinamico dell'azione sportiva lesiva" (Cass. n. 8609 del 2022). Il fatto accertato dal giudice del merito, mancando un giudizio di contegno intenzionale, è nei termini della involontaria inosservanza della regola sportiva anche solo nella fase di allenamento, in relazione alla disciplina sportiva caratterizzata da assai elevato contatto fisico. PER CONCLUDERE In conclusione, anche nel corso di un semplice allenamento la violazione di una regola sportiva dalla quale sia conseguito un danno, anche grave, a uno degli atleti in gioco, il diritto di quest'ultimo al risarcimento è subordinato al riconoscimento in capo al danneggiante di un grado di responsabilità superiore al mero atteggiamento colposo, che si verifica (come bene espresso dall'art. 43 c.p.) quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti (anche quelli dettati per il mondo sportivo), ordini o discipline. Deve desumersi, pertanto che costituisa illecito civile l'intenzionale violazione della regola sportiva e non anche il mero e accidentale evento lesivo subito nel corso della pratica sportiva. A tutti i livelli. RIFERIMENTI DI LEGGE Codice civile Art. 2043 c.c. – Risarcimento per fatto illecito Art. 2056 c.c. – Valutazione dei danni Art. 1227 c.c. – Concorso del fatto colposo del creditore Art. 2051 c.c. – Danno cagionato da cosa in custodia SE VOLETE RIMANERE AGGIORNATI COLLEGATEVI ANCHE AL NOSTRO CANALE TELEGRAM

  • Razionalizzazione e semplificazione: un progresso per i forfetari

    Dalla Redazione Il D.Lgs.  n.1 dell’8 gennaio 2024, all’Articolo 3 elimina l’obbligo di effettuare la Certificazione Unica per i compensi corrisposti a soggetti che applicano il regime forfettario e il regime fiscale di vantaggio per l’imprenditorialità giovanile. Il Decreto di Razionalizzazione e Semplificazione di adempimenti tributari eviterà, quindi, ai sostituti d’imposta il dovere di rilasciare la Certificazione Unica ai contribuenti forfetari. La Certificazione Unica non dovrà più essere trasmessa in via telematica alla Agenzia delle Entrate, in quanto l’obbligo di fatturazione elettronica entrato in vigore dal primo gennaio per tutte le categorie di contribuenti, forfetari compresi, basterà a garantire la trasmissione dei dati alla A.d.E. senza ulteriori adempimenti. Art. 3 Eliminazione della Certificazione Unica relativa ai soggetti forfettari e ai soggetti in regime fiscale di vantaggio 1. All'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, dopo il comma 6-sexies, è inserito il seguente: «6-septies. A decorrere dall'anno d'imposta 2024, i soggetti indicati al comma 1 che corrispondono compensi, comunque denominati, ai contribuenti che applicano il regime forfettario di cui all'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ovvero il regime fiscale di vantaggio di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono esonerati dagli adempimenti previsti dai commi 6-ter, 6-quater e 6-quinquies.». Note all'art. 3: - Il testo dell'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'art. 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), come modificato dal presente decreto, è il seguente: «Art. 4 (Dichiarazione e certificazioni dei sostituti d'imposta). - 1. I soggetti indicati nel titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, obbligati ad operare ritenute alla fonte, che corrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, soggetti a ritenute alla fonte secondo le disposizioni dello stesso titolo, nonché gli intermediari e gli altri soggetti che intervengono in operazioni fiscalmente rilevanti tenuti alla comunicazione di dati ai sensi di specifiche disposizioni normative, presentano annualmente una dichiarazione unica, anche ai fini dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) e dei premi dovuti all'Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.), relativa a tutti i percipienti, redatta in conformità ai modelli approvati con i provvedimenti di cui all'art. 1, comma 1. 2. La dichiarazione indica i dati e gli elementi necessari per l'individuazione del sostituto d'imposta, dell'intermediario e degli altri soggetti di cui al precedente comma, per la determinazione dell'ammontare dei compensi e proventi, sotto qualsiasi forma corrisposti, delle ritenute, dei contributi e dei premi, nonché per l'effettuazione dei controlli e gli altri elementi richiesti nel modello di dichiarazione, esclusi quelli che l'Agenzia delle entrate, l'I.N.P.S. e l'I.N.A.I.L. sono in grado di acquisire direttamente e sostituisce le dichiarazioni previste ai fini contributivi e assicurativi. 3. Con decreto del Ministro delle finanze, emanato di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e del lavoro e della previdenza sociale, la dichiarazione unica di cui al comma 1 può essere estesa anche ai contributi dovuti agli altri enti e casse. 3-bis. Salvo quanto previsto al comma 6-quinquies, i sostituti d'imposta, comprese le Amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 29 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, che effettuano le ritenute sui redditi a norma degli articoli 23, 24, 25, 25-bis, 25-ter e 29 del citato decreto n. 600 del 1973 nonché dell'articolo 21, comma 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e dell'articolo 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, tenuti al rilascio della certificazione di cui al comma 6-ter del presente articolo, trasmettono in via telematica all'Agenzia delle entrate, direttamente o tramite gli incaricati di cui all'art. 3, commi 2-bis e 3, la dichiarazione di cui al comma 1 del presente articolo, relativa all'anno solare precedente, entro il 31 ottobre di ciascun anno. 4. Le attestazioni comprovanti il versamento delle ritenute e ogni altro documento previsto dal decreto di cui all'art. 1 sono conservati per il periodo previsto dall'art. 43, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e sono esibiti o trasmessi, su richiesta, all'ufficio competente. La conservazione delle attestazioni relative ai versamenti contributivi e assicurativi resta disciplinata dalle leggi speciali. 4-bis. Salvo quanto previsto dal comma 3-bis, i sostituti di imposta, comprese le Amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, gli intermediari e gli altri soggetti di cui al comma 1 presentano in via telematica, secondo le disposizioni di cui all'art. 3, commi 2, 2-bis, 2-ter e 3, la dichiarazione di cui al comma 1, relativa all'anno solare precedente, entro il 31 ottobre di ciascun anno. 6-bis. I soggetti indicati nell'articolo 29, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, che corrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, soggetti a ritenuta alla fonte comunicano all'Agenzia delle entrate mediante appositi elenchi i dati fiscali dei percipienti. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabiliti il contenuto, i termini e le modalità delle comunicazioni, previa intesa con le rispettive Presidenze delle Camere e della Corte costituzionale, con il segretario generale della Presidenza della Repubblica, e, nel caso delle regioni a statuto speciale, con i Presidenti dei rispettivi organi legislativi. Nel medesimo provvedimento può essere previsto anche l'obbligo di indicare i dati relativi ai contributi dovuti agli enti e casse previdenziali. 6-ter. I soggetti indicati nel comma 1 rilasciano un'apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) attestante l'ammontare complessivo delle dette somme e valori, l'ammontare delle ritenute operate, delle detrazioni di imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché gli altri dati stabiliti con il provvedimento amministrativo di approvazione dello schema di certificazione unica. La certificazione è unica anche ai fini dei contributi dovuti agli altri enti e casse previdenziali. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, emanato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono stabilite le relative modalità di attuazione. La certificazione unica sostituisce quelle previste ai fini contributivi. 6-quater. Le certificazioni di cui al comma 6-ter, sottoscritte anche mediante sistemi di elaborazione automatica, sono consegnate agli interessati entro il 16 marzo dell'anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti ovvero entro dodici giorni dalla richiesta degli stessi in caso di interruzione del rapporto di lavoro. Nelle ipotesi di cui all'art. 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la certificazione può essere sostituita dalla copia della comunicazione prevista dagli articoli 7, 8, 9 e 11 della legge 29 dicembre 1962, n. 1745. 6-quinquies. Le certificazioni di cui al comma 6-ter sono trasmesse in via telematica all'Agenzia delle entrate direttamente o tramite gli incaricati di cui all'art. 3, commi 2-bis e 3, entro il 16 marzo dell'anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti. Entro la stessa data sono altresì trasmessi in via telematica gli ulteriori dati fiscali e contributivi e quelli necessari per l'attività di controllo dell'Amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali e assicurativi, i dati contenuti nelle certificazioni rilasciate ai soli fini contributivi e assicurativi nonché quelli relativi alle operazioni di conguaglio effettuate a seguito dell'assistenza fiscale prestata ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, stabiliti con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate. La trasmissione in via telematica delle certificazioni di cui al comma 6-ter, contenenti esclusivamente redditi esenti o non dichiarabili mediante la dichiarazione precompilata di cui all'art. 1 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, può avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione dei sostituti d'imposta di cui al comma 1. Le trasmissioni in via telematica effettuate ai sensi del presente comma sono equiparate a tutti gli effetti alla esposizione dei medesimi dati nella dichiarazione di cui al comma 1. Per ogni certificazione omessa, tardiva o errata si applica la sanzione di cento euro in deroga a quanto previsto dall'art. 12, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, con un massimo di euro 50.000 per sostituto di imposta. Nei casi di errata trasmissione della certificazione, la sanzione non si applica se la trasmissione della corretta certificazione è effettuata entro i cinque giorni successivi alla scadenza indicata nel primo periodo. Se la certificazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dai termini previsti nel primo e nel terzo periodo, la sanzione è ridotta a un terzo, con un massimo di euro 20.000. 6-quinquies. 1. Nei casi di tardiva o errata trasmissione delle certificazioni uniche relative a somme e valori corrisposti per i periodi d'imposta dal 2015 al 2017, non si fa luogo all'applicazione della sanzione di cui al comma 6-quinquies, se la trasmissione della corretta certificazione è effettuata entro il 31 dicembre del secondo anno successivo al termine indicato dal primo periodo del medesimo comma 6-quinquies. 6-sexies. L'Agenzia delle entrate, esclusivamente nell'area autenticata del proprio sito internet, rende disponibili agli interessati i dati delle certificazioni pervenute ai sensi del comma 6-quinquies. Gli interessati possono delegare all'accesso anche un soggetto di cui all'art. 3, comma 3. 6-septies. A decorrere dall'anno d'imposta 2024, i soggetti indicati al comma 1 che corrispondono compensi, comunque denominati, ai contribuenti che applicano il regime forfettario di cui all'art. 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ovvero il regime fiscale di vantaggio di cui all'art. 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono esonerati dagli adempimenti previsti dai commi 6-ter, 6-quater e 6-quinquies.».

  • Per i corsi sportivi devo emettere la fattura ?

    A cura di Alessandra Bulgheroni - Consulente del lavoro La domanda più ricorrente in questi giorni è: come associazione sportiva dilettantistica dobbiamo emettere la fattura al socio che freguenta il corso sportivo? Ci prendiamo questo spazio per rispondere indicando come, secondo la normativa oggi in vigore, a nostro avviso vada affrontata la questione. Iniziamo dicendo che se di "fattura" si parla in questo approfondimento lo facciamo riferendoci esclusivamente alla c.d. fatturazione elettronica che dal 1 Gennaio 2024 è diventata obbligatoria per tutti indipendentemente dal volume di affari o dal settore di attività. Diciamo, inoltre, è la fattura (per darne una definizione generalissima) è quel ìdocumento fiscale e contabile emesso dai soggetti titolari di Partita Iva e che sempre a dimostrare la vendita di un bene o la prestazione di un servizio. Inoltre serve anche ai fini dei controlli fiscali e per determinare la tassazione su quanto incassato. A questo punto capirete bene che il 2024 sarà un anno di grande impatto per tutte le associazioni titolari del solo codice fiscale in quanto, per le novità introdotte in materia di imposta sul valore aggiunto, saranno praticamente tutte obbligate ad aprirsi la Partita IVA. A decorrere da Luglio 2024, infatti, tutte le prestazioni strettamente connesse con la pratica dello sport passeranno dall'essere escluse dal campo iva all'esserne esenti. A dire il vero questa nuova impostazione non è una novità ed, anzi, è stata imposta allo stato Italiano sin dal 2010 dall'Unione Europea. Sta di fatto che, nonostante, una prima presa di posizione nel 2021 e poi, più un'ulteriore intervento nell'Agosto 2023 (che ha fatto più confusione che altro a dire il vero) [1] il "vecchio" regime IVA è ormai giunto a conclusione. Cosa significa cambio di "regime"? Dal 1 Luglio 2024 le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dagli enti sportivi nei confronti di: soci associati partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici o contributi supplementari rientreranno nel regime di esenzione ex articolo 10 D.P.R. 633/1972. Inizialmente era previsto che la nuova disciplina IVA per gli enti non commerciali e per le associazioni e società sportive dilettantistiche entrasse in vigore dal 1 Gennaio 2024 ma in forza dell'art. 4 del D.l. 10 maggio 2023, n. 51 tale termine è stato posticipato al 1° luglio 2024, data in cui entrerà in vigore la nuova disciplina IVA per gli enti non commerciali e per le associazioni e società sportive dilettantistiche [2]. Tutte le operazioni effettuate dalle associazioni nei confronti di chi partecipa all’attività istituzionale saranno quindi da considerarsi esenti IVA. Domani, come oggi, su queste prestazioni l'iva sarà irrilevante. Un ente sportivo riconosciuto continuerà a chiedere X per il corso Z senza che, quindi, il socio/tesserato debba sborsare un euro in più di iva e, di contro, che l'ente si ritrovi poi a riversarla all'Erario. Fino qui è semplice, ora entriamo nella parte più tecnica per comprendere come fare. Per le operazioni prodotte dal 17.08.2023 al 30.06.2024 le associazioni sportive e le società sportive dilettantistiche possono continuare a ritenere fuori campo Iva i cd. corrispettivi specifici incassati dai propri associati/tesserati. In soldoni ... potranno continuare ad operare senza partita iva o, se già in possesso, potranno continuare a fare ciò che hanno sempre fatto. Ad ogni modo, sin dalla fine del 2023, andiamo consigliando di iniziare già ad operare come se le prestazioni e le cessioni fossero esenti (e non escluse) e, quindi, con le modalità previste dal nuovo regime, in modo da evitare accavallamenti inutili in un anno solare con i primi sei mesi (gennaio - giugno24) gestiti in un modo e dal 1 Luglio 2024 in un altro. Quindi: è un obbligo, NO. Ve lo consigliamo? SI nonostante in molti sostengano che "ah ma c'è tempo", "poi vediamo", "perché devo farlo? tanto non è obbligatorio", "è un costo ...". Cosa si deve fare da luglio? È necessario, se l'ente non l'ha già, "aprire la partita iva" presso l'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate. Inffatti, a meno che non siate quella minoranza risicatissima di realtà che vive di sole quote sociali (attenzione vuol dire quote associative / tesseramento e non altro). Ecco, per loro, fatte comunque le dovute considerazioni non cambierà assolutamente nulla o, meglio, non sarà necessario dotarsi di partita iva. Adempimenti. E veniamo al nocciolo della questione. Sarà necessario emettere fatture, registrarle, predisporre e depositare le dichiarazioni. Come tutti coloro che hanno una partita iva. Nulla di più. Chi invece volesse una gestione più "semplificata" potrebbe optare per il regime previsto dalla legge 398/1991 a norma del quale sono previsti minori adempimenti e semplificazioni. Ma, ancora una volta, non si può scegliere un regime fiscale come "dogma di fede" o solo perchè, sulla carta, sembra più vantaggioso, dovendosi necessariamente calare nella realtà che ognuno di voi gestisce. Sul punto abbiamo peraltro sempre fatto una riflessione: anche l’emissione delle ricevute non è mai stata obbligatoria e non lo è tutt’ora ma in caso di controllo gli organi accertatori le richiedono per una dimostrazione di contabilità ordinata. Facciamo quindi un esempio di quel che sarà: se si svolge attività verso i propri tesserati o associati dal 01/07/2024 l’iva sarà esente e l’attività sarà non imponibile ai fini delle imposte sul reddito; se si svolge attività verso i meri frequentatori dal 01/07/2024 l’iva sarà esente ma l'attività sarà imponibile ai fini delle imposte sul reddito; se si incassano le sole quote associative (no corsi, no sponsor anche di solo 1 euro, no nulla che non sia una quota) si continuerà esattamente come prima. Niente iva e nessuna attività imponibile ai fini delle imposte dirette; Vi siete accorti di qualcosa ? Le attività - ai soli fini iva ben inteso - saranno esenti indipendentemente dal fruitore del servizio sportivo. Questo significa, in soldoni, che se un Ente per un qualsiasi motivo volesse erogare servizi a soggetti non soci e non tesserati, l'iva non andrebbe comunque richiesta. E' una novità sulla quale riflettere. Ciòò che conterà, pertanto, sarà la qualifica dell'Ente che eroga il servizio che dovrà essere necessariamente Sportivo. Vedremo come questa novità si concilierà con le "attività diverse" ovvero con la potenziale (e parziale) distribuzione di utili oggi prevista dall'art. 8 del D.lgs 36/2021. Ma quindi? DEVO FATTURARE I CORSI SPORTIVI ? Si. E anche se ci fosse una norma che vi rendesse "Immuni" dalla fatturazione beh, vi consiglieremmo comunque di prendere quella bella medicina che è chiamata "diligenza del buon padre di famiglia". Perché, in fondo, chi ha la gestione dell'Ente deve sopportarne anche il perso di responsabilità che, con una gestione trasparente, siamo certi potrà essere meglio sopportabile. NOTE : [1] Il 17 agosto 2023 è entrato in vigore l’art. 36-bis del D.L. 22.6.2023 n. 75 (c.d. decreto “P.A.-bis”) che ha introdotto un regime di esenzione IVA per i servizi strettamente connessi con la pratica dello spor, compresi quelli didattici e formativi, per gli enti sportivi dilettantistici di cui all’art. 6 del D.lgs. 28.2.2021 n. 36 (associazioni e società sportive dilettantistiche, nonché enti del Terzo Settore). La norma genera non pochi dubbi interpretativi, da un lato anticipando il regime di esenzione previsto dall’art. 5, comma 15-quater, del D.L. 21.10.2021 n. 146, che entrerà in vigore dal primo luglio 2024, e dall’altro coesistendo con il regime di esclusione di cui all’art. 4, commi 4, 5, 6 e 7, del D.P.R 26.10.1972 n. 633 attualmente in vigore. [2] L'Art. 4 co. 2 bis del Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 3 luglio 2023, n. 87 (in G.U. 05/07/2023, n. 155) così recia: Le disposizioni di cui al comma 15-quater del medesimo articolo 5 del decreto-legge n. 146 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 215 del 2021, si applicano a decorrere dal 1° luglio 2024

  • Sono un lavoratore sportivo: ho diritto ad ammalarmi?

    Una domanda che ci viene posta frequentemente e la risposta è: “Sei sicuro di volere sapere se puoi ammalarti? Non è che piuttosto vuoi sapere se ti ammali se hai diritto ad avere dei soldi?” Può sembrare una riflessione lessicale buffa ma la formulazione di una domanda comporta una risposta a seconda delle domande che facciamo. Posso ammalarmi se sono un lavoratore sportivo? Se la domanda è questa la risposta sarà, inevitabilmente : l’influenza non ti chiede che tipo di lavoro fai e prende tutti, dall’alto super manager al più umile lavoratore, indistintamente. Differente è invece “Ma ho diritto a delle indennità?” perché in questo caso le cose cambiano. Vediamo come. Innazitutto cerchiamo di distinguere [1]: infortunio= Evento fortuito, violento ed esterno che produce lesioni fisiche obiettivamente constatabili. malattia= Ogni alterazione fisica obiettivamente constatabile non dipendente da infortunio. Fatta questa doverosa distinzione, e per entrare nel merito della questione, bisognerebbe porsi una e una sola domanda: che tipo di contratto hai stipulato con l'ente sportivo? Con la riforma dello sport non ci sono più zone d'ombra essendo stato scritto nero su bianco che chiunque può prestare la propria attività in favore di un ente sportivo dilettantistico con una di queste quattro modalità: 1.       come dipendente; 2.       come autonomo; 3.       come volontario; 4.       come co.co.co. Il quinto, il cd lavoro in nero in cui “ma si dai che poi ci arrangiamo” ricordiamo a tutti non essere una forma giuridica corretta e ricordiamo a tutti, laddove ve ne fosse bisogno, le sanzioni previste per chi quel "dopo" lo pagherà a caro prezzo. [2] Instaurando uno dei 4 rapporti previsti dalla normativa sportiva, si ha diritto ad una indennità in caso di malattia ? La risposta è si, ma è necessario entrare nel dettaglio delle varie tipologie contrattuali per vedere, in caso di malattia, come vengono indennizzate le singole figure e, nel caso di volontario, se anche lui ha diritto ad ammalarsi o, meglio, a ricevere una qualche indennità. Relativamente ai lavoratori dipendenti I chiarimenti in merito sono stati forniti nel Messaggio Inps 4182/2023: per gli eventi certificati a decorrere dalla data del 1° luglio 2023, il lavoratore per avere diritto alla prevista copertura, è tenuto a richiedere il certificato telematico al proprio medico curante con le ordinarie modalità. Inoltre, il lavoratore sportivo deve rendersi reperibile durante le fasce orarie normativamente previste per l’eventuale controllo domiciliare medico legale. [3] Ogni lavoratore ha l’obbligo di garantire la reperibilità alla visita medica di controllo durante le cd fasce di reperibilità che sono gli intervalli di tempo durante i quali un lavoratore in malattia deve essere presente al proprio domicilio per eventuali visite fiscali e il mancato rispetto può comportare conseguenze fra le quali la perdita di indennità stessa. Quali sono queste fasce orarie per i controlli? Analizziamo quelle relative al lavoro nel privato, ricordando sempre che nel pubblico ci sono delle particolarità ma esulano dall’ambito sportivo: Dalle ore 10:00 alle ore 12:00; Dalle ore 17:00 alle ore 19:00. 7 giorni su 7 compresi i festivi Quale è la tutela prevista? I lavoratori sportivi subordinati iscritti al Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi mantengono la medesima tutela in materia di assicurazione economica assicurazione economica di malattia degli iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO), aventi diritto alla relativa indennità economica (cfr. l’art. 33, comma 3, del D.Lgs n. 36/2021). La contribuzione dei lavoratori subordinati per la malattia per il settore dello sport è pari a quella fissata per il settore dello spettacolo (2,22 %). Medesima tutela in caso di malattia viene assicurata anche ai giovani atleti assunti con contratto di apprendistato. Relativamente agli sportivi iscritti alla Gestione separata come co.co.co. o come autonomi. Per i lavoratori sportivi del settore dilettantistico settore dilettantistico, tenuti all’iscrizione alla Gestione separata, hanno diritto all'assicurazione previdenziale e assistenziale e per tale motivo alle tutele previste per tali soggetti. Con riferimento invece ai lavoratori sportivi titolari di rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione coordinata e continuativa operanti nel settore professionistico (art. 33, comma 2, del D.lgs n. 36/2021), continua ad applicarsi la previgente disciplina che non prevede tutela. Gestione malattia lavoratori sportivi Per gli eventi certificati a decorrere dalla data del 1° luglio 2023, il lavoratore sportivo è tenuto a richiedere il certificato telematico al proprio medico curante. Anche il lavoratore sportivo è tenuto a rendersi reperibile durante le fasce orarie previste per l’eventuale controllo domiciliare medico legale, disposto su richiesta datoriale o d’ufficio dall’INPS. Relativamente ai volontari L'art. 29 co. 4 del D.lgs 36/2021 prevede che gli enti (sportivi) dilettantistici che si avvalgono di volontari devono assicurarli come previsto dalla normativa del volontario nel terzo settore e, in particolare, dall'articolo 18, comma 2, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 . In partcolare i volontari sportivi dovranno essere assicurati per la responsabilità civile verso i terzi ma non anche per infortuni o malattia connessi all'attività (di volontario) svolta. [1] Art. 2110. (Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio). In caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, e' dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennita' nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equita'. Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equita'. Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianita' di servizio. [2] La sanzione prevista per il lavoro nero può raggiungere cifre considerevoli, dal momento che viene calcolata su ogni lavoratore coinvolto e graduata per fasce in base alla durata del comportamento: da 1800 a 10.800 euro: in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo; da 3600 a 21600 euro: in caso di impiego del lavoratore dal trentunesimo sino al sessanta giorni di lavoro effettivo; da 7200 a 43200 in caso di lavoratore impiegato oltre sessanta giorni di lavoro; [3] Le visite fiscali dell’INPS sono rivolte principalmente ai lavoratori dipendenti (sia del settore privato che pubblico) che si assentano dal lavoro per malattia. Sono soggetti a questi controlli anche i lavoratori che percepiscono prestazioni di malattia, come indennità giornaliere dall’INPS. Le visite fiscali possono essere richieste sia dall’INPS che dal datore di lavoro per verificare l’effettiva esigenza di assenza per motivi di salute del lavoratore.

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